Fumne, quando le detenute diventano artiste del riuso

Fumne, in dialetto torinese, vuol dire donne. E proprio le donne sono le protagoniste di questo progetto che ha sede da alcuni anni all’interno della casa circondariale Lorusso e Cotugno di Torino. Quindici detenute di varia nazionalità e di età compresa tra i 25 e i 55 anni impegnate in una palestra creativa per trasformare con creatività e genialità materiali di riuso in abiti, accessori, spille e bijoux craft straordinari oltre che pezzi unici, lavorati artigianalmente e interamente fatti a mano in vendita nello showroom all’interno del carcere oltre che in molte boutique.

di Valentina Ersilia Matrascia

Un progetto, quello lanciato nel 2008 da Monica Gallo dell’associazione Lacasadipinocchio insieme alla collega Sara Battaglino, in piena conformità con l’articolo 20 dell’ordinamento penitenziario per il quale – come spiega il direttore dell’istituto penitenziario, Pietro Buffa – “i detenuti hanno l’obbligo di lavorare; noi quello di organizzare il lavoro per loro”. Primissime destinatarie le detenute “incolumi” che per via del tipo di reato commesso si trovano in isolamento per evitare scontri con le altre detenute, in seguito sono state coinvolte anche le altre. Attenzione particolare a quante, a giudizio degli educatori, sono a rischio di depressione o suicidio.

Se inizialmente i materiali e le stoffe erano donazioni di privati, in seguito grazie ad un finanziamento della Compagnia di San Paolo è stato possibile creare un laboratorio interno dotato di macchine da cucire e materiale. “Il laboratorio – come spiega l’ideatrice, Monica Gallo – ha rivitalizzato queste donne, che vivono le cose attraverso l’uso delle mani. Ognuna le vive a modo proprio, con uno stile ben definito”. All’insegna del riciclo intelligente e della massima libertà di espressione e creatività, Fumne mira a prendere in considerazione prima di ogni altro aspetto la donna, considerata prima di tutto una persona, con cui gli educatori creano un rapporto diretto e mirano alla trasformazione della “devianza” in genialità vivendo il laboratorio come un ambiente di vita e non come luogo di insegnamento e ricezione passiva.

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Prezzi accessibili e la possibilità anche per le non detenute di frequentare ogni sabato dei laboratori (per info http://www.lacasadipinocchio.net/progetti/fumnelab.html ) e dei corsi nell’ambito di una vera e propria scuola artigianale che trasforma il carcere da luogo di detenzione chiuso e autoreferenziale in un luogo aperto all’interazione con l’esterno, tenuti dalle detenute esperte per imparare a creare autentiche opere d’arte con i materiali di riuso contribuendo anche alla ricostruzione della autostima e della fiducia delle detenute che dopo al termine del periodo di detenzione potranno spendere le competenze e le abilità apprese. Non solo gioielli e abiti; Fumne, infatti, è anche un profumo. La qualità e l’originalità di prodotti – che raccontano una storia, quella dei sogni e delle speranze delle mani che li hanno realizzati e il cui “valore aggiunto è la sofferenza di chi li ha realizzati, ma sono stati fatti da donne, prima ancora che da detenute” – e il passaparola ha portato il marchio Fumne ad essere noto e ben riconoscibile tanto che dal 6 al 9 settembre sarà possibile ammirarne le creazioni e la nuova linea bambino, pensata dalle detenute mamme, e dei tappeti di lana al Macef di Milano, il salone internazionale della casa.

 


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