Israele, l’esercito impedisce agli attivisti di soccorrere i migranti eritrei

Un gruppo di attivisti di Physicians for Human Rights (Phr) è stato bloccato dall’esercito israeliano lungo la frontiera con l’Egitto. È stato intercettato mentre cercava di superare il confine, nel tentativo di soccorrere una ventina di eritrei, intrappolati dal 28 agosto all’interno di un’area militare.

Tra i migranti nordafricani, ci sarebbero anche tre donne e un ragazzo: hanno scelto di barricarsi lungo la frontiera per sfuggire all’incarcerazione (destino cui nessuno potrebbe sottrarli, in Egitto) e al successivo rimpatrio. A muovere l’intervento degli attivisti, sono state le condizioni disperate degli eritrei rinchiusi nell’area militare.

Stando alle denunce del Phr, in quel lembo di terra a sud di Israele, sarebbe in atto l’ennesima tragedia delle migrazioni clandestine: gli esuli avrebbero consumato l’ultimo pasto il 30 agosto scorso. Nell’ultima settimana, null’altro sarebbe stato concesso loro, dai militari israeliani, al di fuori di poche dosi d’acqua.

Nessuna rassicurazione per i detenuti è giunta da parte del governo israeliano, che anzi ha ribadito come quell’area lungo il confine costituisca, a tutti gli effetti, una “barriera di frontiera”, all’interno della quale è impossibile garantire l’accoglienza ai migranti.

La vicenda si traduce, dunque, nel respingimento di uno sparuto gruppo di eritrei, privati d’assistenza e cibo, benché si trovino in una zona “cuscinetto”. E anche dal ministero degli Interni sono giunte precisazioni esimenti della responsabilità di Israele. Eli Yishai, portavoce del ministro, ha spiegato che «non esiste nessuna istanza internazionale che denunci che gli immigrati in Egitto sono a rischio persecuzione o rimpatrio, per cui Israele non ha alcun obbligo legale nei loro confronti».

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E le parole dei vertici politici stanno trovando pieno riscontro anche nella nuova, monumentale opera promossa dal Governo di Tel Aviv: una muraglia, che si staglia per 250 chilometri lungo la frontiera. L’obiettivo: arginare la diaspora dei migranti africani che giungono dalle valli del Sinai. Il completamento dell’opera è previsto per la fine dell’anno.

Ma la politica di Israele non si esaurisce solo nei mattoni e nel cemento. Da Tel Aviv, infatti, sono giunti nuovi provvedimenti normativi. Tra le novità, l’arresto dei migranti e la loro detenzione in una caserma nel cuore del deserto del Neghev. Secondo il disposto delle nuove leggi, saranno previsti un periodo di detenzione e, successivamente, l’espulsione.

Tuttavia, se nella legge Israele ha trovato il fondamento delle proprie rassicurazioni, dall’opinione pubblica ha rimediato una nuova ondata di sdegno. La denuncia degli attivisti fermati dai militari ha inasprito gli umori delle associazioni per i diritti umani, tutte impegnate, in queste ore, nella richiesta di accogliere i migranti intrappolati e di concedere loro assistenza e asilo politico.

Emilio Garofalo


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