Cina, Amnesty International: sgomberi, arresti e torture in nome dello sviluppo

Lo sviluppo della Cina passa attraverso gli sgomberi forzati nelle città e nelle campagne adiacenti; tutte le persone che provano ad opporre resistenza vengono vessate, picchiate e a volte torturate per convincerle a cambiar idea. Alcuni finiscono nei centri specializzati per la rieducazione con il lavoro mentre per altri si aprono perfino le porte del carcere.

I Progetti per lo sviluppo cinese – La costruzione di strade, industrie o interi complessi residenziali sulle terre sgomberate, è considerato il modo più diretto ed efficiente per raggiungere una “crescita” consistente. Per i progetti però servono i denari e i funzionari locali, cercano di recuperare denaro sequestrando e rivendendo terreni che hanno fatto sgomberare sbrigativamente dalle persone che vi risiedono. Inutile dire che le garanzie previste dal diritto internazionale, come ad esempio la necessità di notifiche e consultazioni preventive e l’obbligo di fornire un alloggio alternativo, non vengono rispettate.

La denuncia di Amnesty International – Negli ultimi anni, gli sgomberi forzati nelle città e soprattutto nelle campagne cinesi sono aumentati drammaticamente. Il Governo cinese continua nel suo cammino spedito verso il progresso senza curarsi del modo in cui viene raggiunto. Prima di effettuare gli sgomberi, vengono tolti i servizi primari come l’acqua e il gas. I funzionari preposti per lo sviluppo ingaggiano di sovente criminali senza scrupoli per intimidire i residenti. Le indagini di Amnesty International hanno fatto emergere anche la scarsa attenzione della Polizia su questi episodi.

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 I dettagli – Nel suo rapporto, Amnesty International ha esaminato in dettaglio 40 sgomberi forzati, di cui nove si sono conclusi con la morte di persone che protestavano o avevano opposto resistenza. A seguire alcuni casi:

Il 3 marzo 2010 una donna di 70 anni, Wang Cuiyan, è stata sepolta viva da una scavatrice quando un gruppo di 30-40 operai ha iniziato a demolire la sua abitazione a Wuhan, nella provincia dello Hubei.

Il 18 aprile 2011, alcune centinaia di uomini hanno fatto irruzione nel villaggio di Lichang, nella provincia dello Jiangsu, attaccando i contadini. Una ventina di donne sono state picchiate.

Nel maggio 2011 a Hexia, nella provincia dello Jiangxi, una donna è stata picchiata e sottoposta a sterilizzazione forzata dopo che aveva presentato un reclamo contro lo sgombero forzato di cui era stata vittima. Anche le persone che l’avevano accompagnata sono state picchiate.

Il 15 giugno 2011 la polizia di Wengchang, nella provincia del Sichuan, ha preso in ostaggio un neonato di 20 mesi e non lo ha rilasciato fino a quando la madre non ha messo la firma su un ordine di sgombero.

Nei casi documentati da Amnesty International, risulta che tra il 2009 e il 2011, 41 persone si sono date fuoco mentre nel decennio precedente, le immolazioni sono state meno di 10.

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Lo scontento della popolazione – Gli sgomberi forzati rimangono uno dei principali motivi di malcontento popolare in Cina. Il premier Wen Jiabao ha riconosciuto la gravità della situazione e, dopo essere intervenuto, si è registrato qualche piccolo miglioramento nella protezione delle persone. Nuove norme in vigore dal 2011, hanno stabilito che l’indennizzo non debba essere inferiore al valore di mercato dei beni espropriati e proibiscono l’uso della violenza. Tuttavia questi aggiustamenti non rispettano ancora i diritti Internazionali. Una rapida urbanizzazione a prezzi “modici” dunque, che costa l’impoverimento della popolazione contadina che si vede espropriata indebitamente e con forza dalle case in cui hanno vissuto tutta una vita, forse il progresso non sa quanto vale la dignità.

Massimo Maravalli


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