In Kuwait, Paese arabo grande produttore di petrolio e importante alleato degli Stati Uniti, una sentenza ha confermato che si può finire in carcere se si diffondono le parole sbagliate attraverso i social media. Alla sbarra prima e in carcere adesso c’è finito l’attivista Rashid Saleh al-Anzi. La lesa maestà il suo reato, una ribellione nei confronti del sovrano Sabah al-Ahmad al-Sabah.
L’attivista aveva condiviso, lo scorso ottobre, la sua riflessione su Twitter. Parole, le sue, rimbalzate immediatamente sulle bacheche di quasi 6mila followers, per denunciare le restrizioni e le lesioni delle libertà subìte dai kuwaitiani, vere e proprie “pugnalate ai diritti”, secondo al-Anzi, inferte dai poteri incontrollati dell’emiro al-Sabah.
Nel giro di due mesi, la sentenza di condanna, inflitta da un tribunale del Paese arabo, riportata dal quotidiano Alaan on-line e richiamata dall’Huffington Post: per l’offesa al sovrano, per aver ovvero denunciato la linea dura dell’Emirato nei confronti della popolazione, al-Anzi dovrà scontare due anni di reclusione.
Una sentenza che segue, nel Paese, una consolidata linea giudiziaria: appena sei mesi fa, infatti, un altro uomo era stato condannato a 10 anni di carcere. Il suo reato, aver messo in pericolo la sicurezza dello stato rivolgendo, sempre attraverso internet, critiche e insulti al profeta Maometto e i governanti musulmani sunniti di Arabia Saudita e Bahrain.
Emilio Garofalo
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