di Marco Marano
Il rapporto annuale sul Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, detto SPRAR, è stato il tema dibattuto martedì 5 febbraio presso la Sala Farnese del Comune di Bologna, a Palazzo d’Accursio. Erano presenti l’Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Bologna, Amelia Frascaroli, l’Assessore alle Politiche Sociali della Regione Emilia Romagna, Teresa Marazzocchi e la dott.ssa Daniela Di Capua, Direttrice del Servizio Centrale SPRAR, la quale ha anche aggiornato la platea, composta prevalentemente dagli operatori territoriali dello Sprar emiliano-romagnolo, circa la chiusura delle strutture Emergenza Nord-Africa, i cosiddetti ENA.
Lo Sprar è un progetto territoriale presente in tutte le regioni italiane, promosso dal Ministero dell’Interno e dall’Anci e riguarda appunto il sistema di accoglienza di chi, fuggendo dal proprio paese per guerre, persecuzioni e carestie, che sia minorenne o maggiorenne, richiede una qualche forma di protezione internazionale. Possono essere riconosciute due tipologie: la protezione sussidiaria che ha la durata di tre anni e l’asilo politico di cinque. Ambedue sono rilasciate dalle commissioni territoriali sparse per tutto il territorio nazionale, e si differenziano dalla terza tipologia, cioè la protezione umanitaria, poiché quest’ultima viene rilasciata dalle questure e dura un anno.
Abbiamo voluto specificare queste distinzioni poiché i “fuggiaschi” dell’emergenza nord Africa, quelli scappati dalla Tunisia in seguito alla guerra a Gheddafi, sono stati lasciati per quasi due anni senza che nessuno si prendesse la briga di riconoscergli alcuna forma di protezione internazionale, fino alla scadenza del periodo di accoglienza da parte della Protezione Civile, cioè nel dicembre del 2012. Così, pochi giorni prima della scadenza stessa, sono state avviate le procedure per il riconoscimento della protezione umanitaria, insieme ad una proroga dell’accoglienza al 28 febbraio 2013. Allo stato attuale non si sa cosa succederà dopo, c’è chi parla di una ennesima proroga. Da parte delle autorità pubbliche sono stati offerti ai ragazzi ENA una sorta di contributo uscita: dai 250 ai 1000 euro, per farne cosa non è chiaro…
In questo contesto le azioni legate ai concetti di inclusione e integrazione di questi giovani nord africani, in prevalenza sotto i trent’anni, che avrebbero dovuto essere costruite su una strategia d’intervento complessiva, sono state lasciate alla buona volontà degli operatori, dei centri d’accoglienza, e alle risorse dei ragazzi stessi. Perché non si è utilizzata anche per gli ENA la medesima strategia di intervento dei progetti territoriali Sprar, come chiesto da più parti? E questa la domanda che l’Assessore ai Servizi Sociali della Regione Emilia Romagna ha posto proprio a palazzo d’Accursio. Anzi la questione posta al centro del dibattito è stata proprio quella di utilizzare gli strumenti dello Sprar per qualsiasi forma di emergenza umanitaria che possa presentarsi sul territorio nazionale.
In effetti quello dello Sprar rappresenta, nel contesto di un paese complessivamente poco propenso all’accoglienza degli immigrati, un modello di buone prassi, considerato che in Italia esistono luoghi come i CIE, che sono delle vere e proprie carceri, o anche i CARA (Centri Accoglienza Richiedenti Asilo), gestiti spesso in modo discutibile, tanto che, come lamentato da molti operatori emiliano-romagnoli, quando vengono inviati ai progetti territoriali Sprar le persone che soggiornano nei Cara, arrivano in condizioni davvero pietose, poiché trattati in modo “inumano”.
Nel 2011 in Italia sono state presentate 37.350 domande di protezione internazionale, l’Africa è il continente da cui provengono il maggior numero di cittadini richiedenti, il 76,4 per cento, i primi dieci paesi d’origine sono africani e asiatici, nell’ordine: Nigeria, Tunisia, Ghana, Mali, Pakistan, Costa d’Avorio, Bangladesh, Afganistan, Somalia, Sudan. Sono praticamente quei paesi che negli ultimi due anni sono stati agli onori della cronaca per guerre interne, persecuzioni violenze sulla popolazione civile.
Il sistema Sprar prevede la gestione di 3000 persone su tutto il territorio nazionale, sulla base di progetti triennali, gestiti localmente in compartecipazione tra enti pubblici e privato sociale. Esso prevede un periodo di accoglienza abitativa, nei centri d’accoglienza, una fase di accompagnamento sanitario ed una d’integrazione sociale, che riguarda l’attivazione di una serie d’interventi che dovrebbero portare all’autonomia una volta fuoriusciti. Il percorso che un richiedente/beneficiario di protezione internazionale fa all’interno dello Sprar inizia con l’apprendimento della lingua italiana, per proseguire con l’acquisizione di competenze professionali attraverso borse lavoro o tirocini, e infine la possibilità di essere inserito in un programma abitativo o con un contributo d’uscita o con un qualche progetto di semi-autonomia residenziale.
Una delle maggiori criticità, che non è legata al sistema di accoglienza è la difficoltà di monitoraggio della autonomia raggiunta dopo la fuoriuscita dal programma. Il 37 per cento delle persone escono dallo Sprar per motivi d’integrazione, cioè hanno un lavoro con una qualche forma di contratto ed una casa in affitto. Dopo soli sei mesi però la situazione può radicalmente cambiare, poiché il lavoro può essere perduto e possono innescarsi forme di sfruttamento e lavoro nero che mettono in crisi l’autonomia e quindi l’integrazione.
Poi ci sono i due grandi temi che riguardano i cosiddetti vulnerabili ed i minori non accompagnati. Per ciò che concerne il primo caso si discute molto sulla istituzionalizzazione della categoria vulnerabili, all’interno di un mondo, quello appunto dei richiedenti e rifugiati, che di per se è vulnerabile per le storie di dolore tout court di cui sono portatori. E’ chiaro che esistono casi più difficili di altri, come chi è affetto da patologie soprattutto di tipo comportamentale. Il problema segnalato è che in quei casi la rete dei servizi socio-sanitaria non è preparata ad un efficace intervento.
Sul versante dei minori non accompagnati invece i dati che si sono registrati nel 2011 sono abbastanza interessanti poiché le 130 persone appartenenti a questa categoria, sono state tutte coinvolte in programmi d’inserimento sociale ed il loro percorso viene monitorato anche dopo la maggiore età, considerando che la maggior parte dei minori non accompagnati sono di nazionalità afgana e arrivano in Italia dopo viaggi davvero incredibili. L’aspetto critico è concentrato nel fatto che spesso le organizzazioni Sprar hanno difficoltà a riconoscere chi è minore da chi è maggiorenne, anche perché il test del polso che solitamente si usa fare non sembra sia certo.
E’ di pochi giorni fa la denuncia fatta dall’Unione Europea sui ripetuti casi di respingimento in Grecia da parte della polizia italiana nei confronti di minori non accompagnati. La Grecia, come risaputo dagli organismi internazionali, non ha l’abitudine di rispettare i diritti umani e per questa ragione molte nazioni europee hanno adottato come provvedimento il non respingimento. Ma questa è un’altra storia, come direbbe qualcuno…
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