ROMA – Con la sentenza della cassazione che ieri ha confermato le sette condanne e le quattro assoluzioni per le violenze alla caserma Bolzaneto, si è chiuso l’ultimo dei processi penali ancora aperti a carico delle forze dell’ordine per i fatti del G8 di Genova. Nel 2009 si era infatti concluso il processo per la morte di Carlo Giuliani, con la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che scagionò definitivamente il carabiniere Placanica per aver agito per legittima difesa. Nel 2012, invece, il processo per le violenze della Diaz ci concludeva con la condanna in via definitiva di 25 tra agenti e funzionari di Polizia. Nessuno dei condannati è mai stato in carcere e solo 5 di loro hanno perso la divisa a causa dell’interdizione dai pubblici uffici. Ma a rimanere nei libri di storia non saranno queste sentenze: ad essere ricordata sarà la forza di un movimento che per due anni sembrò sul punto di poter cambiare il mondo.
Dalla generazione X al popolo di Seattle. Tutto cominciò nel 1999 quando l’allora sconosciuto “popolo di Seattle” contestò la conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Gli anni ’90 e la rivoluzione di internet avevano portano la coscienza che il capitalismo sfrenato che in occidente creava apparente benessere e ricchezza, era basato sullo sfruttamento dei paesi poveri e delle loro risorse. La generazione X, caratterizzata da un disagio crescente e dalla mancanza di un’identità sociale ben definita, riesce finalmente a reagire al nichilismo individualista in stile grunge per riversarsi nelle strade di Seattle, patria di questo genere musicale. Nascono così le proteste contro un mondo privo di ideali, in cui il profitto rischiava di diventare l’unica bandiera; contro la delocalizzazione della produzione industriale che trasformava i cittadini dei paesi occidentali in semplici consumatori ed i popoli dei paesi poveri in produttori di beni che non avrebbero mai potuto permettersi di acquistare; contro lo svuotamento degli organi di rappresentanza politica in favore di lobby economiche autoreferenziali; contro il predominio della finanza sulla politica, a scapito dei diritti di tutti; contro l’inquinamento.
Un altro mondo è possibile. Fu come svegliarsi da un lungo torpore: tra il 1999 e il luglio del 2001 un grande entusiasmo scuote le giovani generazioni, portando una ventata di ottimismo. Le liriche pessimistiche dei Nirvana vengono sostituite dalla rabbia e dalla voglia di giustizia sociale urlata dai Rage Against the Machine e una nuova colonna sonora chiama alla rivolta: “dipinti di ribellione disegnati dai pensieri che ho” (RATM – Freedom). La riunione del WTO di Davos nel 2000 è di nuovo teatro di scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, mentre il movimento ottiene sempre più consensi. Nasce così lo slogan “Un altro mondo è possibile” che nel gennaio del 2001 inaugura il primo World Social Forum di Porto Alegre, un luogo di scambio e condivisione in cui si propongono soluzioni alternative al capitalismo liberista. Nel 2001 manifestazioni e scontri si verificano di nuovo a Davos in occasione del Forum Economico Mondiale, a Napoli durante il Global Forum e il 15 giugno a Göteborg per il Summit europeo, quando 2 giovani vengono feriti da colpi di arma da fuoco sparati dalle forze dell’ordine.
Una protesta consapevole. Si arriva così al 20 luglio del 2001: sono passati 2 anni dalla nascita del popolo di Seattle e il movimento ha ormai chiaro quali sono i suoi obiettivi. 300mila giovani da tutto il mondo si danno appuntamento per protestare contro il G8, considerato una elite che forte del peso economico, politico e militare dei suoi paesi membri, si pone come autorità mondiale superiore alla sovranità nazionale dei singoli paesi. Si contestano, inoltre, le politiche e le ideologie neoliberiste adottate dalle organizzazioni sovranazionali, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio e il Fondo Monetario Internazionale. Non è una protesta sconclusionata: come nel 1968, si è riusciti ad individuare il cuore del problema mettendo in discussione l’ordine politico-economico mondiale.
Dalla rabbia alla disillusione. Quello che poi è successo al G8 di Genova è testimoniato da centinaia di inchieste e documentari e non ha bisogno di essere raccontato. Amnesty International l’ha definita “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Come l’uccisione di Meredith Hunter durante il concerto dei Rolling Stones di Altamont nel 1969 mise fine al sogno hippie, così il G8 di Genova non uccise solo Carlo Giuliani. In ognuno di noi uccise quella rabbia positiva che aveva fatto nascere il movimento, trasformandola in una profonda disillusione. Poco prima era arrivata la contestata elezione di George W. Bush e poco dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Tutto ad un tratto ci si rese conto che forse un altro mondo non era possibile. La stessa lobby politica e finanziaria che contestavamo ci ha poi trascinati, senza pagarne le conseguenze, in una folle guerra contro il terrorismo e dentro una crisi finanziaria globale che dura ormai da cinque lunghissimi anni. Ognuno potrà interpretare i fatti secondo la propria coscienza, ma è innegabile che tra il 20 luglio e l’11 settembre del 2001 il mondo cambiò… in peggio. E nessuna sentenza potrà mai rimarginare questa ferita.
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