Nel giugno di quest’anno è accaduto qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Migliaia e migliaia di brasiliani occupavano le strade di Rio, di San Paolo e di altre città per dire no al calcio. I riflettori delle televisioni di tutto il mondo venute a seguire le partite della Confederation Cup, non potevano ignorare quel mare di gente che alzava al cielo cartelli scritti – per lo più in inglese per farsi leggere da tutti – con scritte come “We don’t need the world cup” e “We need money for hospitals”. Il Brasile, il Brasile di Pelè, di Zico, di Ronaldo e di tantissimi altri campioni del calcio, si ribellava al calcio!
Come Gezi Park per la Turchia, il mondiale di calcio è stato per i movimenti brasiliani solo un pretesto mediatico per dare voce ad una protesta che ha radici assai più profonde. Radici che non sono poi così diverse da quelle che hanno alimentato le primavere arabe e i movimenti contro la crisi economica in Europa. Qualsiasi tentativo compiuto dai media brasiliani di circoscrivere le mobilitazioni come una semplice protesta contro l’aumento del prezzo del trasporto pubblico per finanziare il Mondiale o conseguente allo sgombero delle case popolari per far posto all’ampliamento dello stadio Maracanà, si è rivelato quantomeno riduttivo se non radicalmente sbagliato. Così come ha sbagliato chi ha frettolosamente etichettato i movimenti con la sigla di questo e di quel partito, cercando di ricondurli ad una crociata contro la presidente del Brasile, Dilma Vana Rousseff, esponente del partito dei lavoratori.
Lo si legge chiaramente in una “lettera aperta” indirizzata proprio a Dilma, e firmata dai principali sindacati, associazioni, comitati e quant’altro sono stati tra i protagonisti delle rivolte di giugno. “I mezzi di comunicazione cercano di caratterizzare il movimento come anti Dilma, contro la corruzione dei politici, contro lo sperpero del denaro pubblico ed altre rivendicazioni che impongono il ritorno del neoliberismo”, si legge nella lettera. “Crediamo invece che gli obiettivi sono molti, come pure le opinioni e le visioni del mondo presenti nella società. Si tratta di un grido di indignazione di un popolo storicamente escluso dalla vita politica nazionale e abituato a vedere la politica come qualcosa di dannoso per la società”.
Un “popolo storicamente escluso”, quindi, quello brasiliano. Proprio come esclusi dalla storia sono stati i popoli turchi e i popoli arabi. Un popolo che sta cercando la sua strada verso una democrazia dal basso. Una strada alternativa che va necessariamente a scontrarsi con quella imposta dal neo liberalismo.
Tanto in Brasile, dove a capo del Governo c’è il partito dei lavoratori che un tempo avremmo definito “sinistra”, quanto in Turchia dove comanda un dittatore feroce e sanguinario del calibro di Erdogan, la situazione è stata la stessa: il governo in carica, sotto la pressione di una crisi economica che oramai suona come l’orco cattivo delle favole, ha venduto alla rendita parassitaria capitalista welfare e beni comuni, demandando alla brutalità poliziesca e alle autoblindo militari il compito di spiegare alla gente scesa in piazza per protestare cosa intende il nuovo ordine mondiale col termine “democrazia”.
E così come ha fatto per la Turchia, per la Tunisia e altri popoli in lotta (sin da quando si è costituita dieci anni fa per appoggiare la rebeldia zapatista in Chiapas), l’associazione Ya Basta ha promosso una carovana che porterà una decina tra giornalisti e attivisti italiani in Brasile, ad incontrare i movimenti che hanno dato vita alle rivolte di giugno, così come cooperative, comunità e associazioni che stanno mettendo in pratica esperienze di autogestione. La carovana parte ufficialmente il 26 agosto e si concluderà verso metà settembre. Nel Paese del Calcio per antonomasia, non poteva mancare in carovana una rappresentanza dell’associazione Sport Alla Rovescia.
Il calcio, in Brasile soprattutto, è stato sì un dispositivo di controllo ma anche un fenomeno sociale, capace di aggregare, creare immaginari e contribuire a superare barriere razziali e economiche. I tagli alla spesa sociale imposti proprio per finanziare il prossimo mondiale, i prezzi esorbitanti dei biglietti, gli sgomberi delle comunità povere adiacenti agli stadi, lo hanno slegato dalla sua funzione di sport popolare per ridurlo alla sua dimensione più degradante, quella di uno spettacolo televisivo di massa. E’ anche per questo che i brasiliani sono scesi in piazza. Per il calcio, contro un certo calcio.
Profilo dell'autore
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Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.
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