“Così ho conosciuto il Papa”, il racconto di un rifugiato afghano

Morteza (sulla sinistra) insieme a Papa Francesco. Foto di Centro Astalli

Tutto è partito da una semplice telefonata: “Vuoi conoscere Papa Francesco?”. E’ così che Morteza, un rifugiato afghano di 18 anni, lo scorso 10 settembre si è ritrovato a tu per tu con il pontefice durante la sua visita al Centro Astalli di Roma, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS). “Anche se non sono credente, quando mi ha stretto la mano mi batteva forte il cuore”, ammette Morteza tradendo una grande emozione. “Ero nervoso ma il Papa è stato molto gentile ed è venuto a stringermi la mano. Io gli ho detto che per me era un grande onore conoscerlo”.

Morteza è originario della provincia di Lowgar, circa 100 km a sud di Kabul, Afghanistan. Dieci anni fa, ancora bambino, ha lasciato il suo Paese per andare in Iran dove ha vissuto per cinque anni. Poi Turchia e Grecia, seguendo il percorso battuto da migliaia di richiedenti asilo afghani in fuga dalla guerra. Poco più di un anno fa, non ancora maggiorenne, è arrivato in Italia, “non pensavo di rimanere qui e tante volte ho pensato di andarmene. Soprattutto all’inizio è stata molto dura, poi però ho iniziato un percorso di integrazione ed ho ricominciato a studiare”. Ora frequenta il primo anno della scuola superiore Cine-tv Roberto Rossellini, “amo il cinema italiano ed in particolare il neorealismo”, mi confida con entusiasmo. Anche il Papa ha voluto conoscere la sua storia , “era molto curioso e interessato. Gli ho chiesto di fare qualcosa per promuovere la pace in Afghanistan e lui mi ha detto che prega sempre per la pace. Io gli volevo dire che pregare non basta, ma non ho avuto né il tempo né il coraggio”.

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Durante la visita Papa Francesco ha proposto di utilizzare i conventi vuoti per ospitare i rifugiati e richiedenti asilo. Per Morteza la proposta è ottima anche se “molti rifugiati si vergognano ad accettare l’aiuto della Chiesa o dei privati perché si sentono colpiti nella loro dignità. Per loro andare alla mensa è l’ultima spiaggia”. E’ per questo che secondo lui dovrebbe essere lo Stato italiano a prendere in carico i richiedenti asilo ed i rifugiati, “penso che le sue intenzioni siano ottime ma dubito che il Papa possa incidere veramente sulla nostra situazione. Questo non è il lavoro del Vaticano, è responsabilità dei Governi”.

Pur essendo da poco diventato maggiorenne, Morteza ha le idee molto chiare su quale sia il problema più urgente da affrontare se si vogliono veramente aiutare i richiedenti asilo: “Bisogna modificare il regolamento di Dublino III”. Si riferisce al regolamento europeo che assegna la domanda di asilo politico al primo Paese che accerta l’identità di un titolare di protezione. La paura di essere identificati in un Paese diverso da quello desiderato costringe, infatti, molti ragazzi a vivere come fantasmi senza usufruire dei servizi a cui avrebbero comunque diritto: assistenza legale, visite mediche, un posto sicuro in cui dormire. E’ per questo che Morteza, ora che ha ottenuto un permesso di soggiorno di 5 anni, cerca di aiutare i suoi connazionali in transito verso il nord Europa. “Nei fine settimana frequento l’associazione Binario15 Onlus. Ho cominciato come utente dei laboratori di inglese ma poi nel tempo ho iniziato a dare una mano. In pratica studio inglese e contemporaneamente aiuto i ragazzi afghani che ogni settimana arrivano a Roma e come me frequentano i laboratori”.

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Morteza ora ha un sogno: “vorrei diventare un regista e sceneggiatore in modo da poter sviluppare le storie che mi piace scrivere”. E forse è proprio questo l’obiettivo di ogni percorso di integrazione: recuperare la capacità di sognare. Capacità che anche Papa Francesco sembra avere.

di Manuele Petri


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