Dal mobbing in Italia alla speranza tedesca. Storia di un’italiana a Berlino

Donna, italiana, 36 anni. Un diploma in ragioneria mai utilizzato del quale non se ne capiscono bene le ragioni, una laurea in Psicologia mai raggiunta. Da sempre ho lavorato con i bambini: da baby sitter ad operatrice ludico-didattica nelle scuole dell’infanzia insegnando teatro.

Un lavoro meraviglioso, prezioso per il solo fatto di poter essere a contatto con i bambini che, nonostante fatica, capricci e arrabbiature, riescono a donare e a insegnare molto, sempre. A modo loro, certo.

Ma gli aspetti positivi e meravigliosi di questo lavoro dopo qualche anno sono stati surclassati da un eterno contratto a progetto che non permetteva un giorno di febbre e dalle incomprensioni con “i grandi”. Ma c’era e andava tenuto stretto.

Accanto a me un uomo che si è sempre districato nelle cucine romane come cuoco. Più o meno soddisfatto, più o meno retribuito ma sempre con contratti sicuri. Poi, tre anni fa, arrivano 7 punti su un dito, il diritto esercitato di mettersi in malattia e la reazione del proprietario del noto e fighetto ristorante romano: due settimane di mobbing ed un licenziamento per esubero di personale. Facile, no?

Gli anni che seguirono ci misero a dura prova e nel frattempo facemmo la conoscenza di Berlino: nuova e vecchissima, un cantiere a cielo aperto, una possibilità, una città terribilmente affascinante. Ammiccante e fredda al tempo stesso, difficile resisterle. Ma due anni fa non ero ancora pronta e non lo rimpiango.

Non volevo lasciare amici e famiglia e non volevo abbandonare il campo già martoriato ma non ancora completamente abbandonato di quello che era in quegli anni la politica italiana e dove ancora volevo provare a muovermi. Senza vicinanze con nessun partito né ambizioni in quel senso ma spinta dal solo cuore, dalla voglia di civiltà, dall’odio per le ingiustizie alle quali siamo in gran parte assuefatti, istinti primari che mi tenevano sempre con un piede tra piazze e movimenti.

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Ma poi, la lotta divenne personale: giornate intere passate a cercare di resistere continuando a fare un lavoro che era diventato frustrante e difficile, un affitto di 1000 euro, condominio escluso, nella periferia Sud-Est di Roma, un marito disoccupato o comunque altalenante, giornate buttate in mezzo al traffico e giorni tutti uguali in cui si aspetta solo che sia sera per trovare rifugio sul divano, lasciando la città che ci rende schiavi e che non riusciamo più ad amare, fuori dalla porta.

E allora, cosa te ne fai di amici e famiglia se tutto quello che riesci a dare loro è senso di sconforto, malcontento, problemi? Forse altrove è possibile. Forse altrove può essere migliore. Forse, mi sono detta, dovrei scegliere la qualità del tempo trascorso insieme piuttosto che la quantità. E così abbiamo mollato casa e lavoro (solo il mio, a quel punto) ed organizzato tutto in qualche mese.

Cosa avevamo di certo? I nostri cani, naturalmente. Una macchina per affrontare il viaggio dato che rinchiuderli nella stiva di un aereo non era nostra intenzione, un furgone noleggiato per portare con noi libri, cd, suppellettili, un pezzo di casa insomma, un magazzino dove tenere tutto ciò prenotato per due mesi e una casa-vacanze, più costosa certamente ma per avere la quale non ci hanno fatto nessun tipo di problema, anch’essa prenotata per due mesi.

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Due mesi durante i quali, eravamo certi, ci saremmo sistemati. Di mesi ne sono passati quattro, alcune cose non sono andate come avevamo previsto e tra queste, la maggior parte sono andate molto meglio.

Mio marito in due giorni e al primo colloquio effettivamente sostenuto (perché al  primo appuntamento per un colloquio di lavoro la proprietaria, italiana, gli ha dato buca) ha trovato un lavoro in un ristorante tedesco. Contratto regolare, paga non alta ma buona, quanto meno per iniziare e considerando che non parla ancora tedesco.

Io invece, come da progetti, mi sono iscritta a scuola: seguo un corso intensivo di tedesco cinque ore al giorno per cinque giorni la settimana. La scuola è la Vhs la più popolare, economica, amata ed odiata scuola tedesca.

Il corso al quale sono iscritta è di integrazione e la differenza è solo nel costo: pago 120 euro al mese invece che 150 e dopo sei mesi, raggiunto cioè il livello B1 si sostiene l’esame, superato il quale ci verrà restituito la metà di quanto pagato.

La possibilità di dedicarmi solo allo studio della lingua, di poter aspettare un po’ per cercare un lavoro mi rende felice. Sto realizzando quello che non ho mai potuto fare in Italia stare un periodo senza lavorare per fare qualcosa per me, per investire, per provarci, per migliorarmi.

Nel frattempo mi godo lo stupore di scendere con il tram tutte le mattine ad Alexander Platz, mi godo la funzionalità dei mezzi di trasporto, le nuove amicizie, angoli più o meno conosciuti che giorno dopo giorno diventano familiari e no, non lo avresti detto mai.

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Tutti i giorni penso all’amore che ancora vive in Italia: famiglia, amici, mi mancano sempre. Mi manca un pezzo. Ma di certo, sono più felice ora pur senza un pezzo, di prima quando quel pezzo ce l’avevo e non potevo goderne. Quello che di certo è cambiato è la sensazione che ho, appena sveglia la mattina, di avere la possibilità di fare qualcosa. Qualcosa per me, qualcosa che mi piace, qualcosa che forse non mi riuscirà ma posso provare. Quello che non potevo più fare in Italia.

di Francesca Addei, blogger romana a Berlino


6 Comments

  • bello! continua con entusiasmo francesca, io sono qui da 14 anni e non me ne sono mai pentita nemmeno per un minuto! in bocca al lupo.

  • Cara Francesca,
    non faccio fatica a pensare che i tuoi primi mesi in Germania siano per te motivo di gioia e soddisfazione. Se ci pensi però non è passato molto tempo dalla tua partenza e forse le tue giornate sono ancora avvolte dalla scia della novità e dallo stupore delle scoperte che stai facendo ogni giorno.
    Stai inoltre vivendo una seconda vita da studentenssa, studiando una lingua dura ma ricca di soddisfazione… a chi non piacerebbe in fondo tornare sui banchi di scuola e avere più tempo per sè.
    La domanda che ti faccio però (e qui ti chiedo scusa per la provocazione), cosa succederà quando parte del tuo entusiasmo si affievolità e il corso di Tedesco che passerai con il massimo dei voti sarà finito?
    Sono sicura che nel frattampo farai un sacco di amicizie, ma non di tedeschi. Conoscerai persone che come te sono capitate a Berlino ma che dopo qualche anno se ne andranno. Difficilmente sarai considerata dai berlinesi come una di loro… perchè purtroppo è così. Succede qui in Italia, ma stai sicura succede anche nel resto d’Europa. Il campanilismo si crea tra coloro che vivono (anche temporaneamente) la stessa condizione (vedi fuori dalla propria patria)vuoi anche per le difficoltà della lingua.
    Con questo non dico che tu non abbia fatto bene a trasferirti, ANZI! Io adoro la Germania e ho vissuto diverse esperienze a lungo termine fuori dall’Italia con grande gioia e curiosità (esattamente come stai vivendo tu ora).
    La mia unica critica (che in realtà critica non è) è che la forte demotivazione che viviamo in questo periodo guardando lo sfacelo del nostro paese spesso ci porta a pensare che fuori da qua esista l’Eden, ma che in realtà Eden non è.
    Conosco persone che millantano una vita migliore a Londra, quando poi scopri che fanno lavori temporanei da una vita e non hanno mai messo a frutto quello per cui hanno studiato o che speravano di esercitare proprio nella capitale britannica. E poi per cosa? Per un bilocale in affitto e l’ennesimo lavoro ‘temporaneo’ (perchè poi ti dicono sempre…. non è una cosa difinitiva, ma intanto non lo cambiano mai).
    Allora non varrebbe la pena lottare per cambiare qualcosa in questo paese, che il caso vuole sia il NOSTRO?
    Perdonami l’eccessiva leggerezza con cui ti scrivo questo pensiero. Anche parlandone ore e ore di persona probabilmente non ne verramo mai a capo.
    Ti faccio comunque un gran in bocca al lupo per tutto.

    • Non sei la prima a muovermi questa critica di “eccesso di entusiasmo” che non riesco però a vivere come tale perché so bene e quando me ne ricordo lo scrivo anche che qui non è l’Eden.
      Perché l’Eden non è da nessuna parte o forse perché l’Eden sarà invece ovunque avremo la possibilità di sentirci bene.
      Non mi interessa sentirmi Berlinese. Così come non mi interessa sentirmi tedesca perché in 36 anni non sono mai riuscita a sentirmi italiana, quindi direi che posso continuare a sentirmi apolide fino al resto dei miei giorni. 🙂

      Ti chiedo, tu hai lottato per cambiare il nostro Paese? Io sì.
      Non ci sono riuscita e sono certa che non sarà grazie ai giorni buttati di chi è convinto di poter fare qualcosa, che questo accadrà!
      Per questo, ricambio il grande in bocca al lupo, forse ancora più grande. 🙂

  • Francesca….ti adoro! Ti leggo con i lucciconi agli occhi mentre, con i figli che crescono in fretta, mi chiedo cosa mai ci resti in questo paese da poter loro offrire con orgoglio….resta solo l’onestà di far capire che questo non è quello che avremmo voluto x loro e che forse un giorno riusciremo a trovarlo altrove….chissà se mai più in italia. Tvb

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