In fuga dal marito assassino. L’epica migrante di Teresa

 

Testo e foto  di Stefano Romano

Teresa è arrivata in Italia otto anni fa, senza averlo scelto. Se fosse rimasta nelle Filippine il suo ex-marito l’avrebbe uccisa; e da otto anni non è mai più tornata a Manila, per lo stesso motivo. Non tutte le storie d’emigrazione si somigliano, alcune sono più oscure e terribili. Teresa aveva diciotto anni quando sposò un ragazzo di poco più grande, a Manila. Lei era giovane e molto innamorata; lui era gentile, di professione poliziotto. Gentile, anche se poco tempo prima di sposarsi, quando vivevano ancora dalla famiglia di lui, l’aveva colpita in viso con un sandalo. Ma lei era troppo giovane e incosciente, non gli diede importanza. “Sono cose che possono capitare”.

SHABOO. Dopo il matrimonio, appena partorita la prima figlia, le violenze divennero sempre più frequenti. Teresa scoprì che a causarle era l’uso massiccio dello shaboo, la metanfetamina che oscura le menti di molti ragazzi filippini. Era un buon padre, ma quando il demone della droga calava su di lui, dimenticava di essere un marito e scaricava tutta la sua aggressività su di lei, anche davanti ai figli.

VIOLENZA SENZA FINE. Teresa fissa un punto davanti a lei, con il volto calmo ma gli occhi assenti. E racconta di quando, una sera, lui l’ha spogliata completamente e puntandole la pistola sulle tempie l’ha buttata fuori dalle scale di casa, dove potevano vederla nuda tutti quanti; racconta delle volte in cui è dovuta ricorrere alle cure dell’ospedale per le ferite delle percosse. Eppure nel frattempo sono nati quattro figli, due maschi e due femmine, e Teresa si è anche laureata. Finché una sera il fratello 38enne di lei – esasperato per le violenze subite dalla sorella – va armato dal marito, per dirgli di farla finita; ma è quest’ultimo che, con la sua di pistola, pone fine alla vita del fratello trentottenne.

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IN FUGA. È in quel momento che Teresa – dopo quindici anni di matrimonio – decide che non può più andare avanti, e denuncia il marito. La morte del fratello è un dolore troppo grande e lei inizia a sentirsi in qualche modo responsabile. Dopo la denuncia prende i figli e fugge per due mesi a Laguna, una provincia vicino Manila. Torna poi da sua madre, ma è troppo pericoloso. Quindi decide di lavorare su una nave da crociera e lasciare le Filippine e i suoi figli.

ITALIA. Nel 2005 arriva in Italia, prima in Sardegna per i mesi estivi, poi a Roma nell’autunno dello stesso anno, senza conoscere nessuno. Da allora non ha mai smesso di lavorare nelle famiglie romane. Da quando ha toccato il nostro suolo, Teresa non ha più visto i suoi figli, se non attraverso internet: perché paradossalmente l’ex marito è ancora libero e in servizio come poliziotto a Manila, nonostante sia in attesa dell’udienza per l’omicidio del fratello. E ha affermato di essere pronto ad uccidere Teresa se la vedesse da quelle parti.

FEDE E PERDONO Teresa ha sopportato dolori grandi in questi anni. Ha saputo che la figlia maggiore ha ripercorso le orme del padre, con cui tuttora vive, diventando consumatrice di droga. Cinque anni ha è morto suo padre, a cui era molto legata, e non è potuta tornare in Filippine per il funerale; e anche questo le vela gli occhi. Fortunatamente Tersa ha una forte fede in Dio, e grazie a questo da qualche anno è riuscita a perdonare l’ex marito. Lo ha fatto per due motivi: primo, “perché esiste un disegno di Dio per tutto quello che accade, e se Dio ha voluto così la sua esistenza allora va accettata”; secondo, “perché provo pena per quell’uomo senza Dio, per la sua anima tormentata”. Mi dice che quando lui finalmente andrà in galera lei andrà anche a trovarlo, un giorno. Ma perdonare non significa dimenticare, quello è impossibile. Il suo sogno ora è andare a prendere i suoi figli e portarli in Italia; è ancora troppo presto per pensare un futuro nelle Filippine.

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SEGRETI. Da un anno convive felicemente con un uomo filippino, ma questo i figli non lo sanno. Lei prova vergogna a dirglielo, quasi si vergognasse della sua felicità ritrovata. Perché spesso la sofferenza diventa una catena che è difficile togliere dal piede, anche quando gli anelli sono ormai spezzati. E la libertà può quasi sembrare una colpa. Ad ogni modo Teresa è forte. Dice, nel suo italiano “metà inglese”, che tutta la sua vita le ha insegnato ad essere autonoma, a vivere bene anche da sola, Dio le è sufficiente. Esiste solo la sua famiglia in Filippine e i suoi figli, a cui manda tutti i soldi che guadagna ogni mese. Il resto è chiuso nel suo cuore, perché la storia di Teresa non la conosce quasi nessuno, solo due o tre persone qui a Roma.

Perché allora raccontare questa storia? Cosa lega a noi una storia di ordinaria violenza domestica a Manila? Io credo sia importante raccontare la storia di Teresa perché è vero che è un’eccezione, ma che non è sempre il denaro a spingere le persone ad emigrare. Anzi, ci aiuta a capire meglio quell’immenso movimento di anime che è l’emigrazione. Perché Tersa lavora nelle nostre case, e come lei migliaia di donne filippine in Italia, e quasi nulla sappiamo delle loro esistenze. Conosciamo i loro sorrisi, la loro gentilezza, la loro nostalgia di casa. Sappiamo che vengono da noi per il lavoro, il denaro, per aiutare le loro famiglie in Filippine.

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Ma c’è anche chi scappa da dolori difficili da raccontare, come Teresa. E nelle sue lacrime trattenute, nelle sue cicatrici, ci sono le stesse lacrime di tutte le donne filippine con storie di vita simili, o anche solo semplicemente di nostalgie, nascoste dietro i sorrisi gentili di quando ci salutano ogni mattina.


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