Bar Boon Band, a Milano gli ultimi hanno un’anima rock

di Gaspare Urso

Un’utopia, sì. Ma reale, fatta di accordi che ti raccontano storie e parole intrise di emozioni. Di vita. E un sogno, quello di chi ha dedicato tutto se stesso a “quelli che dormono su uno zerbino senza toccare terra”. Tutto raccolto in brani e portato sopra un palcoscenico sul quale la Bar Boon Band regala esistenze in musica da oltre diciotto anni. Con un’anima, quella di Maurizio Rotaris, responsabile del servizio “Sos stazione centrale”, e il cuore di artisti, poeti, cantautori che una sera del 1995 sono stati attirati da quelle note “suonate per tirare loro un po’ su il morale”.

MUSICA E SENZATETTO. “E’ iniziato tutto in maniera molto semplice – racconta Maurizio Rotaris, salito su un palco, 18 anni fa insieme all’amico Diego Raiteri – con l’idea di mettere su serate di intrattenimento per gli homeless della stazione centrale di Milano. Ci siamo subito accorti che le persone reagivano bene”. Sì, perché certe cose le noti, nelle lacrime piuttosto che in un ballo con passi stentati o in una mano alzata per dire: “io scrivo” o “voglio recitare una poesia”. Basta poco in fondo. Sali due scalini e da spettatore ti ritrovi protagonista su un palco. “In qualche modo – continua nel suo racconto Rotaris, direttore artistico del gruppo – grazie ai contributi di queste persone avevamo creato una sorta di spettacolo esclusivo, solo per i senzatetto. Loro venivano e suonavano con noi, recitavano una poesia”.

Il Natale alla Stazione Centrale. Credits: Amin Othman

IL “RUMORE” DEI POVERI. Loro, i “barba” raccontavano e raccontano un riscatto che parla di solitudine, della strada, di overdose. Di amore. Di morte. Che racconta di “una parte dove sei proprietario di un solo sacchetto di plastica e uno della spazzatura come cuscino”. Il progetto dal ’95 a oggi ha portato alla realizzazione di 5 album, l’incisione di oltre 65 brani e la pubblicazione di un libro “Il rumore dei poveri”. Guardi la storia di questo gruppo, pensi a persone come Victor Terminè e il suo “sono un poco di buono ma per una volta ti devi fidare di me, ti prenderò per mano e ti porterò dove nasce l’arcobaleno” oppure a Stefania Bassani che scrive “mi avvolgo ben stretta e magari sto bene” e ti viene da chiedere cosa sia cambiato in questi anni, ammesso che qualcosa sia cambiato. “Il distacco – dice senza pensarci due volte Maurizio Rotaris -.

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Prima il cittadino affrancato dal disagio teneva lontano il problema. Era qualcosa che non lo riguardava. Oggi si è assottigliato il confine dalla povertà. E’ più facile per le persone identificarsi nei senzatetto perché se prendi uno stabile popolare trovi il 70 per cento di disoccupati e 1 su 3 che non paga l’affitto. Il distacco che c’era prima non lo senti più”. E allora ti rendi conto che dai uno sguardo a quella stazione, a quel gruppo di autori regalati dalla strada e “ci trovi anche il professore di liceo caduto in disgrazia”. Ci trovi una musica che dà continuamente vita a un tunnel di una stazione dove ogni giorno è una lotta per la vita. O forse contro.

TARGET “NON APPETIBILI”. Qualcosa è cambiato, non tutto. “Quella che è mancata – continua Rotaris – è stata la svolta che ci si aspettava dal Centrosinistra, soprattutto in termini economici. Si continuano a spendere migliaia di euro, magari per una fontana liberty, ma poi non ci sono mai risorse per incrementare le risorse da destinare ai servizi sociali”. La realtà è meno poetica di una canzone o dei versi. “Basta fare un po’ di zapping e trovi cinque o sei iniziative, campagne di raccolta per i bimbi africani. E va benissimo. Poi però se si parla di adulti emarginati cronici in Italia ti senti rispondere che non è un target appetibile”. Quel target non appetibile è “entrato” in teatri, nel salotto elegante della galleria Vittorio Emanuele così come semplicemente dentro un tunnel. E ha diviso il palco con Vinicio Capossela. “L’arte ha un valore terapeutico molto alto – dice in maniera convinta Maurizio Rotaris – e ti accorgi che persone che apparentemente non hanno nulla da dare sono invece spesso autori di testi e poesie molto belle e delicate”. Pur non dimenticando che “essere buoni lo lasciamo a voi perché noi siamo fatti così” la Bar Boon Band, “Sos stazione centrale”, la Fondazione Exodus hanno coinvolto gli ultras italiani in una iniziativa che ha consentito di raccogliere tanto materiale da distribuire proprio ai clochard. “In questi anni siamo riusciti a coinvolgere tante categorie – ricorda Rotaris – e forse ci mancavano proprio gli ultras. La grande sorpresa è stata l’enorme disponibilità che hanno dimostrato”.

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NON SOLO MUSICA La sala della “BBB”, nel periodo natalizio, si è così trasformata in un grande magazzino dove gli scout, anche loro coinvolti nell’iniziativa “Ultras for homeless”, hanno stipato tutto il materiale recuperato grazie all’impegno dei tifosi. “E’ stato sempre uno dei nostri obiettivi – continua nel suo racconto Rotaris – non limitarci solo all’aspetto musicale. Ho cercato di portare la band in contesti di disagio sociale, dentro occupazioni o scioperi”. Tutto questo percorso, però, ogni tanto inciampa. Sbatte proprio contro quell’assenza di sostegno a volte sfiancante. “Nell’ultimo periodo – dice Maurizio Rotaris non senza un po’ di amarezza – abbiamo dovuto mettere da parte l’aspetto musicale per tenere aperto il centro. C’è un po’ di stanchezza anche perché siamo costretti ad affrontare grossi problemi economici e non è semplice”. Un’utopia, non c’è dubbio. Ma la Bar Boon Band di spallate continua a darne e anche se qualcuno dei clochard ha scritto “se ti trovi in giro per il mondo non guardare verso l’orizzonte, potresti non tornare mai”, i “barba” un orizzonte lo guardano costantemente. E’ fatto di note e parole. Di alcol e droga. Disperazione e disagio. Ma anche di amore, emozioni. E di quella musica che continua a uscire fuori da un tunnel dentro una stazione. E che non resta in silenzio. Nemmeno davanti la morte o un volto girato dall’altra parte.

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