Come lo Stato sta lasciando morire il Modello Riace

di Nicola Martino

Dalla Calabria si va via, che sia per scelta o per necessità, ma si parte. Un flusso senza ritorno di braccia e menti che, di fronte al deserto di opportunità e prospettive presenti e future, economiche e sociali, si ritrova su un treno, su un aereo o su un’auto lasciandosi alle spalle gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, gli affetti ed i ricordi.  Un viaggio di sola andata per andare a caccia di una speranza, per dare forma ai sogni confidando che un giorno possano diventare certezze.

Decisioni individuali che, unite da un unico filo rosso, fanno perdere progressivamente vitalità al contesto quotidiano di tante realtà, piccole o medie che esse siano. Paesi dell’entroterra carichi di storia o incantevoli borghi che si affacciano sulle sponde del Mar Tirreno o del Mar Jonio si svuotano, oltre che della popolazione indigena, di senso e contenuti. Perdono, ogni anno sempre di più, il tessuto connettivo che, esso solo, indica l’esistenza reale di una comunità.

UN MODELLO VINCENTE -Un vuoto impossibile da riempire se, in alcune aree diventate col tempo punto di approdo dei disperati provenienti dal Sud e dal Medio Oriente, l’ambizione di dare continuità al percorso umano non avesse indotto anni fa Mimmo Lucano, sindaco di Riace, in provincia di Reggio Calabria, a dar vita ad un inedito ed efficace modello d’integrazione cui in tanti hanno guardato con ammirazione. Una testimonianza concreta di come, fenomeni epocali come quello del trasferimento di imponenti masse di uomini, donne e bambini, siano governabili senza sottomettersi alla fallimentare impronta repressiva, ma votandosi, al contrario, alla cultura dell’accoglienza. Prima dell’intuizione del primo cittadino di Riace l’idea appariva tale, un’astrazione teorica, un velleitario strumento di propaganda imbracciato dal buonismo di maniera. La realtà, con i suoi numeri e le sue evidenze, ha dimostrato l’esatto contrario.

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Quello che era visto come un traguardo impossibile da realizzare si è trasformato in materiale, vivido e pregno di solida realtà, per un cortometraggio concepito dalla fervida mente di Wim Wenders. Un documentario in 3D al quale il regista tedesco diede come titolo “Il volo” per raccontare come fosse stato possibile che le strette vie e le vecchie case di un paesino della Calabria profonda avessero riacquistato colore e calore. Coloro che guerre, carestie e povertà avevano messo in fuga dalle loro storie sono riusciti a ridare un’anima, antica e nuova al tempo stesso, a luoghi divenuti silenziosi scrigni di memorie passate.

È così che le poche centinaia di abitanti autoctoni rimasti hanno scoperto che la resurrezione dei fasti andati sarebbe arrivata di là dal mare. La formazione dei nuovi cittadini alle attività artigianali andate perdute ha avvolto di spessore pragmatico le relazioni interetniche che in questo modo si sono consolidate dando vita ad un tracciato senza soluzione di continuità tra passato, presente e futuro. L’arcobaleno della vita che squarcia il velo nero delle troppe tragedie che hanno riempito del rosso sangue il braccio di mare che si frappone tra il dolore ed il sogno, fra la disperazione ed il riappropriarsi della propria esistenza.

LA BUROCRAZIA UCCIDE L’ECCELLENZA – Suona, dunque, ancora più beffardo scorrere l’elenco stilato in relazione al Sistema di protezione per richiedenti asilo che il Ministero dell’Interno ha realizzato con l’intento di valutare ogni singolo progetto volto ad accogliere il popolo che giunge da terre lontane. Ebbene, sulla base di quanto previsto dal bando del Viminale, per scorgere il nome dell’Amministrazione Comunale di Riace è necessario scendere giù fino alla 237esima posizione. Uno schiaffo alla felice esperienza vissuta e che avrà come conseguenza l’epilogo finale della traduzione di una reale ed autentica convivenza fra culture differenti, ma non per questo incapaci di incontrarsi.

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I centosettanta immigrati che hanno respirato, gioito, lavorato e sofferto allo stesso ritmo di chi ha spalancato loro le porte dovranno andar via e con loro anche i giovanissimi figli i quali, fra i banchi di scuola, si sono confrontati con un nuovo stile di vita improntato a norme e precetti. Un sistema ideale dal quale i piccoli hanno ricavato un prezioso insegnamento e che, con costanza è entrato dentro di loro. Quello stesso sistema che, però, ha prodotto le norme ed i precetti che impongono lo stop improvviso al cammino intrapreso.

A stroncare la straordinarietà di un’azione compiuta con costanza negli anni è il requisito secondo cui i Comuni che non raggiungono il numero minimo di cinquemila residenti hanno diritto a quindici posti che, soltanto se le esigenze lo rendessero necessario, potrebbero essere raddoppiati. Per meglio comprendere quanto la situazione prodottasi abbia creato squilibri è sufficiente sapere che in tanti, costretti a raggiungere nuovi e sconosciuti lidi, si sono impegnati a fare ritorno in quella che era diventata la loro terra. Triste pensare che il Ministero dell’Interno, da cui dipende la Commissione che ha elaborato la graduatoria SPRAR, abbia formalizzato una diffida a carico del sindaco Lucano, l’artefice di una pratica di buona politica interrotta dall’ottusità ciecamente dedita al rispetto di fredde prescrizioni.

Niente di peggio sarebbe stato concepibile, peraltro, in un contesto congiunturale segnato da una stagnazione economica con pochi precedenti: i calabresi che avevano trovato una sponda sicura nel circuito lavorativo scaturito dal “Modello Riace” rifaranno le valige per trasferirsi al Nord e, se anche così fosse, quale destinazione potranno mai scegliere se anche le tradizionali mete costituite dai distretti industriali ubicati nelle regioni settentrionali non sono più nelle condizioni di assorbire manodopera?

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E l’associazionismo che ha conosciuto anni di attivismo e fervore alla base di un’era marchiata a fuoco dalla solidarietà reale ed efficiente come si reggeranno sulle proprie gambe? È stato tappato e sigillato tutto ciò che di positivo era stato messo in circolo con gravi conseguenze sulle fondamenta stesse della nuova società che aveva riverberato i suoi raggi di sole in tutto il mondo. Le dimore disabitate dopo l’abbandono da parte dei proprietari che nel corso dei decenni hanno risalito la Penisola


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