“Vergognati di quel braccialetto”

Di Joshua Evangelista e Valerio Evangelista

Se non ci fosse la crisi economica di mezzo potremmo dire che quello per la nostra vecchia Peugeot è un mero ancoraggio affettivo. Perché la signora, nata nel lontano ’88, ci ha portato ovunque senza mai lamentarsi. Tossendo e soffrendo senza pause. Almeno fino a stamattina, quando ha deciso di riposarsi per sempre sull’A24, tra Avezzano e Celano. Non certo un buon momento per sputare un oceano di vapore di richiamo cinematografico (con tanto di fuga plastica da parte nostra per evitare un’esplosione che per fortuna non c’è stata), visto che ci aspettava una giornata romana piena di impegni di lavoro per la cooperativa e Frontiere News.

Ma questo non è un post nostalgico per elaborare la morte della nostra macchinina. L’evento che ha reso “frontierabile” la nostra giornata è stato l’incontro con il poliziotto che che si è fermato quando ci ha visto in difficoltà e con l’auto fumante nel bel mezzo dell’autostrada. Alto, muscoloso, capelli rasati, occhiale alla Erik Estrada in Chips, accento marsicano. Chiede i documenti, domande di rito, ci sollecita a chiamare un carro attrezzi. Tutto regolare. Poi la domanda.

“Ma non ti vergogni di quel braccialetto?”
“Come scusa?”, chiediamo esterrefatti mentre l’agente ha puntato il polso di Valerio.
“Leggo ‘Siria libera’, non ne andrei tanto fiero. Sarebbe come… Sì, sarebbe un po’ come se avessi una svastica tatuata. Io mi vergognerei di andare in giro con certe cose attaccate al braccio”.

Bene, abbiamo perso gli appuntamenti, si è rotta l’auto (di lì a poco avremmo scoperto che il radiatore era bucherellato) e adesso ci si mette anche il poliziotto assadiano. Valerio guarda con sorpresa il suo bracciale, dove campeggia la bandiera della Siria libera. E sforna la solita pappardella pronta all’uso quando ci attaccano (e capita spesso) per la nostra avversità ai regimi, di qualsiasi colore. “Questa è la bandiera che il popolo siriano ha alzato quando ha conquistato l’indipendenza dalla Francia, la bandiera di un popolo in lotta da tre anni e mezzo con la quarantennale dittatura sanguinaria della famiglia Assad e ora anche con i terroristi dell’Isis”.

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Niente, la pappardella non regge. “Come fai tu da qui a prendere posizioni? Vorrei vedere! Guarda che io ne ho conosciuti di musulmani, eh!”
“Non sono musulmano, ma i miei migliori amici lo sono. E, comunque sia, quale sarebbe il punto? Non è una questione religiosa, anche tantissimi cristiani e atei hanno sposato la causa del popolo siriano”.
“Sei mai stato da quelle parti lì? Io sì. Hai idea di chi ci sia veramente? Ecco io lo so”.

Beh, a questo punto al diavolo l’auto, gli appuntamenti e i tanti soldi che se ne andranno tra rimozione e rottamazione, siamo troppo curiosi.
“Allora, spiegacelo tu chi c’è lì. Dove sei stato?”
“Io sono stato a Gerusalemme, non potete capire”.

Apriti cielo! Per il buon agente abruzzese Gerusalemme è il Medio Oriente, o meglio: Gerusalemme è ‘lì’, uno spazio che verosimilmente parte da Gibilterra e arriva a Kabul.
“Voi non ci siete mai stati da quelle parti?”
“Beh… ecco… sì”. Riusciamo a essere vaghi e a resistere alla tentazione di raccontare al poliziotto cosa ci hanno combinato i suoi colleghi di Tel Aviv.

“Io non sono cattolico, anzi Marx con l’oppio dei popoli non è che aveva proprio torto, ma voi ditemi se è giusto che i mussulmani (le esse abruzzesi in realtà sono tre o quattro) ci prendevano in giro, come a dire che il nostro non è il Messia. Per carità, ho letto il Corano, anzi loro stanno avanti a noi per molte cose, ma voi non potete capire quanta crudeltà fanno con la loro religione”.

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“Beh, le cose sono un po’ più complicate di così, ma ad ogni modo cosa c’entra questo con il braccialetto (e con la Siria)?” “C’entra! È irrispettoso verso gli israeliani. Sì va bene, hanno le mani in pasta un po’ ovunque ma dobbiamo a loro la nostra civiltà. Hanno inventato la scrittura, prima di loro c’era il nulla”.
“Ehm, forse ti riferisci al popolo ebraico e non a Israele. E comunque credo che la scrittura per come la intendiamo noi abbia le sue radici nei sumeri”.
“Ecco… quindi loro”.
“Loro chi?”. Ma quando arriva il carro attrezzi?
“Gli isral… gli ebrei”.
“Ehm… beh…ad ogni modo, a scanso di equivoci, noi amiamo la cultura giudea. Questo braccialetto si riferisce all’autodeterminazione di un popolo. E comunque sì, anche il popolo palestinese merita lo stesso”.
“Questo braccialetto sarebbe molto offensivo per i miei amici ebrei”.
“Non capisco cosa ci sia di offensivo in una bandiera con i colori del panarabismo. La dignità di un popolo schiacciato dal proprio governo offende, forse?”, risponde seccato Valerio.
“Capisco che siete brave persone, ma state attenti. E documentatevi, io lo faccio spesso. Non con la televisione, ci mancherebbe. Con internet!”

In quel momento un Iveco giallo si inserisce nella corsia di emergenza, diventando capofila della coda formata dalla nostra Peugeot e dalla volante. “Sei libero di fare quello che vuoi, d’accordo, ma io non andrei in giro così. Io ne ho conosciuti di musulmani, ve lo ripeto”. Una stretta di mano, il rilascio dei documenti e un’ultima occhiata a quel braccialetto che ha turbato la sua mattinata autunnale; l’agente sionista, assadiano, islamofobo ma rispettoso della cultura islamica e marxista (sì, ok, ha le idee un po’ confuse) si rimette gli occhiali da sole e monta sul suo destriero a quattro ruote.


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