di Joshua Evangelista per Micromega
“Scrivi per un giornale comunista?”. Alla sede di Kiev del Pravy Sektor è questa la domanda di rito fatta dai dirigenti prima di rilasciare una qualsivoglia intervista. Perché al Settore destro si guarda con sospetto ai media russi e occidentali “di sinistra”, che “dicono bugie su di noi e ci dipingono a tutti i costi come una formazione neonazista”.
Proprio sul confutare l’etichetta di partito fascista è basata la gran parte della comunicazione politica del gruppo che, se funziona alla grande nell’Ucraina occidentale impegnata nell’edificazione di un nuovo nazionalismo che vada oltre i petroldollari degli oligarchi filorussi, vacilla all’esterno, dove azioni e dichiarazioni dei leader del movimento ricordano fin troppo bene le gesta di colleghi vicini al nostro background storico-politico.
Ad esempio, fanno effetto le ronde antidroga di Odessa, con decine di giovani volontari a volto coperto impegnati a massacrare di botte ipotetici spacciatori per poi legarli e lasciarli in piazza abbandonati al pubblico ludibrio. O l’attacco a Viktor Pylypyshyn, deputato filorusso del Partito delle Regioni, gettato di forza nella spazzatura come “avviso” qualora si fosse ricandidato.
Ma si peccherebbe di ingenuità se si tentasse di tracciare una linea di continuità tra le destre reazionarie che attanagliano l’Europa e questa nuova formazione, così eterogenea nei percorsi politici e culturali dei suoi componenti da creare un unicum nel panorama dei partiti nazionalisti del Vecchio continente.
Come tutti gli altri volontari impegnati a combattere nell’Est separatista dell’Ucraina, anche i membri del Pravy Sektor sono figli del Maidan, di quella grande mobilitazione di piazza che ha per sempre cambiato il destino del Paese. Nel bene o nel male, è ancora presto per dirlo.
“Mentre i manifestanti ballavano e cantavano in piazza Indipendenza, noi gridavamo alla rivoluzione e loro ci guardavano con disprezzo. Poi, quando i poliziotti corrotti di Janukovyc e i cecchini appollaiati sui tetti dei palazzi hanno iniziato ad ammazzarli, si sono accorti del nostro valore: eravamo gli unici a difenderli dalle efferatezza degli assassini in divisa”.
Ma cosa facevano questi “protettori del popolo ucraino”, come amano definirsi, prima del 19 gennaio 2014, quando i primi morti dei riot cambiarono la connotazione pacifica delle manifestazioni antigovernative ed europeiste?
Una bella fetta della base è data dai supporter organizzati delle squadre di calcio locali, specialmente quelle di Dinamo Kiev, Metalist Kharkiv e Dnipro Dnipropetrovsk. Una sorta di gentlemen’s agreement tra tifosi che fino a poche domeniche prima si accoltellavano dentro e fuori dagli stadi e che in nome della “difesa della nazione” hanno rinunciato alla guerriglia sportiva e a raccogliere fondi (e spranghe) per i volontari. Poi ci sono i gruppi politici organizzati, come i Patrioti di Belitsky, l’Assemblea social nazionale, il White Hammer (gruppo in seguito espulso per i numerosi atti di razzismo), i cosacchi della Trans-Carpazia, i nostalgici dei partigiani anti-Urss dell’Una-Unso e il Tryzub (Tridente) di Dmyto Yarosh. Quest’ultimo, ispirato dalla vita e dal pensiero di Stepan Bandera (il leader che tra i ’30 e i ’40 combattè contro polacchi e sovietici; eroe per gli ucraini occidentali, amico dei nazisti per orientali e russi), è stato il vero polmone del movimento e l’anima paramilitare che avrebbe dato il via all’organizzazione dei battaglioni volontari che dopo i fatti di Crimea si sono fiondati verso il Donbass.
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E dalla sede di Kiev ce lo confermano con orgoglio: gli uomini del Tryzub si allenavano alla guerra da anni, nascosti nella steppa ucraina a perfezionare le tecniche della lotta greco-romana. Ma anche l’addestramento al fuoco era ben organizzato. Come? “Acquistando fucili da caccia in tutto il paese”, ci spiegano.
Ma dai tempi del Maidan le cose sono cambiate notevolmente. Ora Yarosh ha conquistato un seggio nel parlamento grazie ai suoi conterranei dell’oblast di Dnipropetrovsk e da indipendente valuta guardingo le varie proposte del governo europeista di Poroshenko. Nel frattempo il suo battaglione è stanziato a Pitski, l’ultimo villaggio prima del conteso aeroporto. “Siamo andati lì senza armi, i primi terroristi separatisti li abbiamo uccisi con braccia e bastoni”, ci spiega un combattente originario di Leopoli. “Ora abbiamo armi di ogni genere prese vicino ai cadaveri dei nemici”.
Una prova di forza che è anche bigliettino da visita per migliaia di ventenni ucraini che intendono arruolarsi e non sanno se unirsi ai regolari di Kiev o a questo gruppo difficile da classificare. Per alcuni sono eroi impavidi e incorruttibili, per altri esaltati devoti alla violenza gratuita.
Intorno alla composizione sociale ed etnica del movimento c’è una grande babele di opinioni. Al netto della propaganda russa e delle narrazioni occidentali, è interessante scoprire come il nazionalismo reazionario del Pravy Sektor sia ricettacolo di elementi molto diversi tra loro e difficilmente integrabili in altri movimenti di simile ispirazione. Tra i combattenti volontari ci sono armeni, georgiani, polacchi, ceceni. Ma non solo. Fianco a fianco combattono russi di orientamento dichiaratamente neonazista ed ebrei, supportati anche da beni e vestiario militare raccolti nelle sinagoghe e donati direttamente al partito. E proprio sulla presenza di cittadini di origine ebraica gli addetti alla comunicazione del Settore destro costruiscono la difesa alle accuse di antisemitismo.
Ma come può funzionare un insieme di individui tra loro così diversi per confessione, idee politiche e fede sportiva (talora più radicata di quella religiosa)? “L’odio per Putin. Tutti quelli che combattono per noi o semplicemente partecipano alle nostre manifestazioni odiano a morte Putin. Putin, non i russi”, ci spiega il portavoce del dipartimento di Kiev, Artem Skoropadsky, di origine russa. Un odio che non basta per costruire una forza politica di massa ma che è sufficiente per creare amalgama tra cittadini-soldati che per la maggior parte fino a pochi mesi fa non avevano mai preso in mano un’arma e specialisti addestrati all’uso dei missili antiaerei S-300.
Per capire la natura ideologica del nazionalismo del Pravy Sektor è interessante quanto ha scritto l’accademico Anton Shekhovstov dell’Ucl di Londra: “La principale peculiarità dell’estrema destra ucraina è che i suoi maggior nemici non sono gli immigrati o le minoranze interne, come spesso accade nelle estreme destre dei paesi dell’Unione europea, ma il Cremlino”.
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Un’ossessione corrisposta, se si pensa che proprio sulla difesa dei russofoni di Crimea dagli attacchi del Pravy Sektor, i russi hanno elaborato la motivazione della loro presenza nella penisola durante la transizione che ha portato all’annessione de facto. Un’attribuzione di potenza probabilmente esagerata, irrobustita dai media moscoviti. Secondo una ricerca effettuata da un osservatorio online sui mezzi di informazione russi e ripresa da Foreign Policy, il Settore destro è stato il secondo partito politico più menzionato nei mass media russi nel 2014, preceduto solo da Yedinaya Rossiya, il partito di Putin.
Intanto nell’Ucraina occidentale, quella culturalmente più polacca che russa, il Pravy Sektor si nutre di un seguito limitato ma solido, che partecipa ai suoi incontri e manda i giovani ai campi di addestramento. Anche chi non l’ha votato alle recenti elezioni (e i risultati sono stati ben sotto le aspettative, solo lo 0,7% delle preferenze) evita di denigrarli. “Sono violenti e hanno idee molto discutibili, ma sono gli unici che ci stanno difendendo davvero dall’imperialismo neo-sovietico”, ci racconta Alina, una ricercatrice 28enne fuggita dalla Crimea e ora con una vita da reinventarsi a Leopoli.
Come lei, tanti cittadini guardano con ammirazione il “coraggio” dei volontari al fronte, chiudendo gli occhi davanti, ad esempio, alle posizioni che i dirigenti hanno verso gli omosessuali. Anche Andrej, un dj di idee dichiaratamente liberal ed europeiste, ha deciso di unirsi a loro, così lontani nel pensiero, così vicini negli intenti. “I quadri militari di Kiev non sono cambiati”, ci spiega. “La corruzione è imperante tra i generali dell’esercito e in cambio di pochi spicci rivelano le nostre posizioni ai separatisti, vendendoci come se fossimo carne da macellare. Invece nel Pravy Sektor questo non esiste. Se devo morire, voglio farlo con dignità, non perché sono stato venduto al nemico”. Da agosto Andrej ha lasciato compagna e figlio piccolo e ha rinunciato al suo ben remunerato lavoro musicale per combattere a Donetsk senza percepire stipendio.
Come Andrej, Svetlana: un buon lavoro nella glaciale Kharkov, la città più vicina alla Russia, e un bimbo da crescere da sola dopo il divorzio con il marito. Aperta, cosmopolita, disinteressata alla politica. Fino ai morti di piazza. Poi il Pravy Sektor: tutto il tempo libero dedicato a spedire i pacchi di uniformi al fronte. E se proviamo a raccontarle qual è l’opinione che si ha in Europa della sua compagine sorride: “Siamo tutti amici, ci rispettiamo, amiamo il nostro Paese. Non sarà una parte violenta e incontrollata a farmi rinunciare a questa comunità”.
A livello ideologico e di intenti, quindi, questo intreccio di movimenti e gruppi informali fatica a trovare una linea condivisa e una coerenza di pensiero. Il leader Yarosh si dichiara lontano dalle posizioni razziste di Svoboda, l’altro storico partito nazionalista del paese, e supporta apertamente Israele; poi, però, in una sua recente pubblicazione si chiede “come mai i milionari ucraini sono quasi tutti ebrei”.
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Sul ruolo che l’Ucraina dovrebbe avere nel panorama internazionale, invece, le idee sembrano essere molto più chiare, almeno quelle ufficiali: equidistanza da Russia e Nato (“possiamo fidarci solo del kalashnikov”), in una posizione simile a quella di Svizzera o Norvegia; accordi singoli con i paesi baltici ed est-europei in chiave anti-Cremlino. Fortissima, e per alcuni analisti determinante, la spinta delle donazioni private ricevute dalla grande diaspora storica ucraina presente in Stati Uniti e Canada.
Intanto la guerra in Ucraina confonde i camerata nostrani, che danno vita a un siparietto tutto italiano: se Casa Pound ammira il Pravy Sektor (e “manda” adepti al fronte), Forza Nuova sceglie, in chiave antimperialista, la Russia putiniana. Con tanto di passeggiata del leader Roberto Fiore in una Yalta addobbata a festa per accogliere lui e altri membri delle destre europee.
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