Prologo: le scuole del diavolo

Caracol di Oventic, Stato del Chiapas, 31 dicembre 2014

Freddo, pioggia e fango. Sul grande palco nel cuore del villaggio controllato dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, il sub comandante insorgente Moises dà il benvenuto ai familiari delle vittime di Ayotzinapa. Sono i padri, le madri e i fratelli dei 43 studenti indigeni rapiti il 26 settembre scorso. Non portano né paliacate né cappuccio nero. Sul loro viso si legge solo sofferenza. Salgono lentamente sul palco, reggendo ciascuno una grande foto di un ragazzino scomparso. Dai guerriglieri e dalle guerrigliere zapatiste si alza un urlo di dolore: “Vivos los llevaron, vivos los queremos”. Vivi li hanno portati via, vivi li vogliamo. Manca un’ora allo scoccare della mezzanotte. Prende la parola il padre di Manuel. Aveva 15 anni, faceva il contadino e studiava perché voleva diventare un maestro.

Novantasei giorni prima

Tutte le ricostruzioni di quanto accaduto quel venerdì 26 settembre, ad Iguala, cittadina di 120mila abitanti dello Stato del Guerrero, sono lacunose o addirittura fuorvianti. Basti pensare che il primo comunicato della polizia municipale recitava: “Non è accaduto niente di significativo”. Solo sei morti, una trentina di feriti di cui due tuttora in gravissime condizioni e 43 desaparecidos. Ecco il “niente di significativo”! Ma per comprendere l’accaduto, è indispensabile capire cosa sono le scuole normali rurali in Messico.

LEGGI ANCHE:   #viaggiadacasa 16 – Messico (con Fabrizio Lorusso e Christian Peverieri)

Le scuole del diavolo

Nate sull’onda della rivoluzione dei primi del ‘900, quella di Francisco Villa ed Emiliano Zapata, le normali rurali sono tuttora il solo orizzonte scolastico che si apre ai figli dei campesinos e va dato loro il merito di aver alfabetizzato intere generazioni di indigeni. O il demerito, se vogliamo vederla dal punto di vista dei latifondisti e della gerarchia cattolica che hanno sempre visto con sospetto l’avvicinarsi degli indigeni ai libri, sino a definire le rurali: “las escuelas del diablo”. Pur se previste nell’articolo 3 della Costituzione, negli ultimi vent’anni le normali sono state penalizzate e criminalizzate dal Governo. Lo stesso presidente Enrique Peña Nieto le ha definite “covi di guerriglieri” e “nidi di bolscevichi”. E, va detto, che dal suo punto di vista ci ha pure ragione, il presidente! Dalle rurali escono i “maestri” che insegnano ai campesinos indigeni che quella terra che lavorano è la loro terra, un bene che non si vende e non si compra. Un diritto che va difeso tanto dai narcos quanto dal mal gobierno che, su quella terra che dà vita e dignità a tanta gente, hanno le stesse identiche mire: venderla (regalarla) ai latifondisti. I primi ci vogliono far droga, i secondi cassa (c’è la crisi, no?)

Di oltre cento che erano, oggi di rurali ne sopravvivono solo 17. Studenti, maestri e comunità indigena tengono duro. Ma il prezzo che queste scuole pagano è pesante. Nel solo Stato del Guerrero, dei 17 civili uccisi dai narcos nel 2014, 15 erano normalisti. Dei 33 desaparecidos, 28 frequentavano, o avevano frequentato, le rurali.

LEGGI ANCHE:   Gli zapatisti sbarcano in Europa: cosa dobbiamo aspettarci

Riccardo Bottazzo

CONTINUA A LEGGERE LA SECONDA PARTE


Profilo dell'autore

Riccardo Bottazzo
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.
LEGGI ANCHE:   Messico, combattere corruzione e pandemia con la cultura nel segno di Zapata
Dello stesso autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.