Cina: la difficoltà di essere donna

di Eileen Otis, Associate Professor at University of Oregon

Nel 1995, la Cina ospitò la quarta conferenza mondiale sulle donne, che vide la nascita del Beijing Platform for Action, un documento che delineava alcuni punti per raggiungere la parità di genere in tutto il mondo.

A sottolineare l’importanza del ruolo delle donne nella società è stato il segretario generale Ban Ki-Moon la settimana scorsa, durante la 59ª Commissione delle Nazioni Unite sullo status sociale delle donne a New York, dichiarando che “Le donne non sono solo vittime anzi, sono le prime promotrici di progresso e di cambiamento”.

Nonostante questo però, le autorità cinesi continuano ad ostacolare le donne nel raggiungimento dei loro obiettivi. L’8 marzo, Giornata internazionale della donna, la polizia ha arrestato cinque attiviste per i diritti delle donne che cercavano di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle molestie sessuali sui trasporti pubblici. Perfino gli Stati Uniti sono intervenuti a favore della loro scarcerazioni. Perché le autorità cinesi si sentono minacciate dalle donne?

La disuguaglianza influisce negativamente sulla libertà delle donne

Per rispondere a questa domanda bisogna analizzare il contesto. La società cinese è lacerata da una crescente disuguaglianza tra uomini e donne. La Cina, infatti, tra i paesi con economie avanzate, è quello con il più grande divario economico, perfino maggiore degli Stati Uniti. (Secondo il Coefficiente di Gini, la distribuzione del reddito in Cina è 0,53, rispetto a 0,45 negli Stati Uniti e 0,34 in India). In una società che appena poco più di due decenni fa era tra le più equa,  queste nuove divisioni sociali generano tensioni e conflitti.

Il Presidente Xi Jinping ha recentemente cercato di contenere il più possibile ogni espressione di dissenso. Nel 2005, ultimo anno in cui il governo ha reso pubblici i dati, sono stati registrate 87.000 proteste e manifestazioni. Il malcontento sociale deriva da diverse cause: le tensioni tra diverse etniche, il problema delle abitazioni, l’inquinamento e lo sfruttamento sul lavoro. Non solo: una protesta ben organizzata potrebbe innescare un movimento più ampio, il che potrebbe rappresentare una vera e propria minaccia per lo status quo della classe politica.

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Appena due settimane fa, la giornalista Chai Jing ha pubblicato un documentario che fa riflettere sul degrado ambientale delle principali città della Cina, generato da oltre tre decenni di rapida crescita economica. La denuncia ha colpito i milioni di cittadini che sono riusciti a vederlo prima che venisse censurato dalle autorità cinesi. Sono molti, infatti, i cittadini preoccupati per l’aria e la qualità del cibo. A rimanere particolarmente disturbate sono state le mamme cinesi, preoccupate per la salute dei loro bambini.

Secondo il governo cinese, quindi, la solidarietà delle donne riguardo le molestie sessuali nei luoghi pubblici può diventare un catalizzatore della lotta per un ambiente pulito, che a sua volta può ispirare la nascita, e l’azione, di un movimento ambientalista.
Non dimentichiamo che tutto questo accade all’ombra delle proteste democratiche degli studenti di Hong Kong che hanno paralizzato che al centro della città per settimane.

Le autorità avvertono: le non-madri saranno considerate “avanzi” della società

Le donne cinesi hanno molte ragioni per lamentarsi della loro condizione. L’associazione Women’s Federation, guidata dal governo cinese, ha da poco concluso una campagna sul “ticchettio degli orologi biologici e sociali” delle donne professioniste di successo, avvertendo che se non si sposano e non procreano entro i venticinque finiranno per essere considerate “avanzi” (shengnu, in mandarino).

E’ stata anche creata la parola Suzhi – Qualità, volta a sottolineare il ruolo centrale delle madri nel successo futuro dei figli. Una campagna, nemmeno troppo velata, che incoraggia le donne a dare la priorità alla famiglia piuttosto che alla carriera, ignorando il ruolo degli uomini in casa. Inoltre, una serie di leggi ha reso molto difficile per le donne che vivono in città la possibilità di reclamare il valore dell’abitazione in caso di divorzio, come spiega Leta Hong Finche nel suo libro Leftlover Women. Allo stesso modo le donne che vivono in campagna perdono i loro diritti sulla terra.

Nel frattempo, il divario salariale tra uomini e donne è cresciuto ancora: le donne che vivono in città guadagnano il 69% in meno dei salari maschili. Nel mio libro, Markets and Bodies, ho analizzato come dietro lo scudo di una “femminilità fragile” per le donne siano previsti salari più bassi e mansioni meno importanti. Anche l’età pensionabile è diversa: le donne sono obbligate per legge ad andare in pensione di età compresa tra 50 e 55, mentre l’età di pensionamento degli uomini è di 60, dando loro la possibilità di guadagnare per 5 e 10 anni in più.

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Il Partito Comunista cinese ha sempre mantenuto un impegno costante a favore della parità tra donne e uomini. Nel 1950 ha fatto entrare le donne nel mercato del lavoro, si è conclusa la pratica della fasciatura dei piedi, e ha notevolmente migliorato l’alfabetizzazione femminile. Nel suo libro Only Hope, Vanessa Fong sostiene che la politica del figlio unico ha portato a maggiori investimenti in famiglia a favore delle figlie femmine, poiché non c’erano i figli maschi con i quali competere.

L’importanza di tornare a lavorare sull’uguaglianza

La Cina è all’87° su 142 paesi studiati rispetto ai divari di genere a proposito della situazione economica, educativa e politica, così come per la salute, quindi i suoi sforzi verso la parità superano quelli di molti paesi del mondo.
Il Partito comunista cinese, anche se ha fatto passi importanti per riequilibrare le gerarchie di genere, dimostra da sempre una priorità di base per i diritti degli uomini. Come quando, nel 1950, ha messo un freno alla realizzazione della legge sul divorzio quando troppe mogli hanno tentato di lasciare i loro mariti. Il Partito ha mantenuto fede all’idea che sono gli uomini i capi formali della famiglia mentre le donne hanno solo un ruolo secondario.
Oggi i leader cinesi stanno rispolverando l’idea di “quadretto famigliare” facendo appello addirittura alle idea del Confucianesimo.  L’emergere di una filosofia fondata sul genere deve essere un campanello d’allarme per le femministe cinesi. Questa potrebbe essere l’ennesima strategia attraverso quale lo Stato tenta di armonizzare la disuguaglianza sociale.

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Non solo un ritorno al passato

La crescita della disuguaglianza di genere in Cina non è semplicemente dovuta alle pratiche del passato e dei pregiudizi. Si tratta anche del presente, di questa nuova era di accumulazione di ricchezza che non ha precedenti nella storia della Cina.

E’ difficile dire che cosa succederà dopo. Le autorità governative hanno permesso al documentario di Chai Jing di circolare più di quando si sarebbe mai immaginato. Possiamo anche trovare qualche speranza anche nel fatto che alcune voci femministe detengono posizioni in importanti Università e agenzie. Ad esempio, Li Yinhe ha di recente ha rivelato che il suo partner, un membro della prestigiosa Accademia Cinese di Scienze Sociali, è transessuale.  Allo stesso tempo però, il governo usa regolarmente un’elaborata rete di base, invisibile ai più, che permette di sedare le controversie prima che esse riescano ad ottenere il giusto slancio, in un processo di Ching Kwan Lee e Yonghong Zhang chiamano “autoritarismo negoziato”.

Quello che appare evidente è che per cambiare il destino delle donne in Cina è più facile cominciare da un lavoro “a porte chiuse” piuttosto che affidarsi alle manifestazioni di piazza.

 

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