L’Europa fa la guerra ai migranti

di Heaven Crawley, ricercatrice della Coventry University

Le ultime morti di migranti nel Mediterraneo – oltre 700 persone sono annegate nel peschereccio sovraffollato che si è capovolto al largo della costa della Libia – segue a una tragedia simile avvenuta la scorsa settimana, in cui a perdere la vita furono 400 persone.

Nell’ottobre 2013 più di 360 persone – per lo più provenienti dall’Eritrea – hanno perso la vita quando la loro barca ha preso fuoco ed è affondata al largo delle coste di Lampedusa. Nel settembre 2014 più di 500 migranti sono stati deliberatamente uccisi in mare. L’attacco è avvenuto presumibilmente dopo che si sono rifiutati di salire a bordo di una barca più piccola in mare aperto e, a quanto pare, i trafficanti ridevano mentre li speronavano.

In assenza di documenti ufficiali, o di corpi da contare, è difficile dire esattamente quante persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Per l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) fino alla fine settembre 2014 erano 3.072, pari al 75% delle morti di migranti di tutto il mondo. Ma con così tanti dispersi in mare o lungo la strada, la cifra reale potrebbe essere molto più alta.

IMPRESA RISCHIOSA. Se aveste ascoltato alcuni media in questa settimana, potremmo perdonarvi l’idea che l’aumento della migrazione verso l’Europa sia il risultato del “bel tempo” e non dell’aumento di violenza e instabilità dei governi. In questo ragionamento le motivazioni e le aspirazioni dei migranti stessi sono in gran parte assenti.

I migranti sono presentati come vittime, “illegali”, oggetti che necessitano di controllo. La “soluzione” è tecnica, burocratica e incorniciata nel problema della gestione dei flussi migratori. Non ci si è sforzati di spiegare perché migliaia di uomini, donne e bambini decidano di rischiare la vita salendo su una barca sovraffollata per attraversare un mare pericoloso. O quali possano essere le loro speranze e aspirazioni. La mancanza di un’agenzia per i migranti è rafforzata dalle storie di contrabbandieri e trafficanti che li ingannano prima del viaggio verso l’Europa.

La migrazione sembra molto diversa se vista dalla prospettiva dei migranti stessi. Sebbene i “migranti” vengano rappresentati come un gruppo omogeneo, ci sono differenze significative in motivazioni, esperienze e aspirazioni di coloro che viaggiano verso l’Europa.

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Per i migranti economici la decisione di partire è generalmente una scelta consapevole. Parliamo di individui e famiglie relativamente benestanti che vogliono migliorare le proprie condizioni di vita. La maggior parte dei migranti non è composta dai più poveri tra i poveri. Ovunque i costi di  questi viaggi clandestini sono compresi tra i 5.000 e i 35.000 dollari. Molti di questi migranti sono piccoli imprenditori che hanno venduto attività e proprietà per poter pagare un viaggio così costoso.

Le rotte dei migranti per raggiungere l'Europa

Ma c’è anche un numero crescente di migranti per i quali la motivazione primaria della migrazione è la ricerca di sicurezza e protezione. Come fa notare l’UNHCR, l’agenzia internazionale con il compito di proteggere i rifugiati, gli avvenimenti in corso in Siria, Iraq, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e altrove, in combinazione con il deterioramento della situazione dei paesi in cui i rifugiati risiedevano, stanno costringendo sempre più di persone a muoversi.

Allo stesso tempo, i governi europei hanno finanziato l’agenzia Frontex per attuare una serie di politiche che rendono l’ingresso in Europa sempre più difficile. Con poche possibilità di entrare legalmente, migliaia di persone minacciate da persecuzioni e da gravi violazioni dei diritti umani stanno prendendo percorsi marittimi sempre più contorti e pericolosi.

Con le rotte bloccate in tutto il Mediterraneo occidentale, c’è stato un brusco picco nel numero di persone che tentavano di attraversare il mar Mediterraneo nell’area centrale, passando attraverso il conflitto della dilaniata Libia, dove non ci sono controlli efficaci alle frontiere e i contrabbandieri operano quasi impunemente.

Questi viaggi sono più lunghi e i rischi maggiori. Attraverso le mie ricerche ho scoperto che le persone sono sempre più in debito con trafficanti e contrabbandieri, le cui motivazioni sono spesso tutt’altro che altruistiche. La maggior parte sono consapevoli dei rischi prima di partire, ma decidono di continuare perché ritengono di non avere alternative.

La migrazione in numeri

La storia delle migrazioni verso l’Europa dai paesi del nord e dell’ovest dell’Africa ha catturato l’immaginario pubblico e politico dalla fine degli anni ’90, quando l’Europa ha iniziato a rafforzare i controlli alle frontiere esterne. Questa storia è stata dominata dalle immagini di piccole imbarcazioni piene di rifugiati e migranti che tentano di raggiungere le coste europee, di giovani uomini africani che scavalcano le recinzioni e di cadaveri trascinati a riva sulle spiagge europee. Nel contesto della crescente preoccupazione dell’opinione pubblica per l’aumento della migrazione, queste immagini sono state utilizzate per legittimare il rafforzamento dei controlli alle frontiere.

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Non tutti muoiono nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. I più fortunati raggiungono Lampedusa, Malta o la Sicilia o vengono prelevati dalla Guardia Costiera italiana. Solo nella scorsa settimana quasi 10.000 migranti sono stati salvati dalle barche italiane che viaggiano in tutto il Mediterraneo.

Fino a poco tempo fa questi sforzi di soccorso sono stati attuati da Mare Nostrum, una missione di ricerca e salvataggio istituita dopo la tragedia di Lampedusa dell’ottobre 2013 e finanziata dalla Commissione Europea con una somma di circa 30 milioni di euro. Ma dal novembre 2014 la scala degli sforzi di ricerca e soccorso è stata ridotta in modo significativo, quando Mare Nostrum è stato sostituito da un nuovo sistema, “Triton”, coordinato da Frontex.

L’azione di Triton è limitata a un’area di 30 miglia attorno alle acque costiere italiane, ha una capacità marittima molto inferiore rispetto al regime precedente e si concentra principalmente sul proteggere le frontiere e prevenire l’ingresso illegale, l’opposto della ricerca e del soccorso. Amnesty International ha condannato la chiusura di Mare Nostrum, dicendo che ciò avrebbe “messo a rischio la vita di migliaia di migranti e rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa”. Ciò risulta effettivamente vero. Secondo l’UNHCR il tasso di mortalità è salito di 50 volte da quando è stato annullato Mare Nostrum: ci sono stati già circa 900 morti dall’inizio dell’anno, rispetto ai soli 17 durante lo stesso periodo del 2014.

ORECCHIE DA MERCANTI. La decisione di terminare la missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo non sembra essere solo una questione finanziaria. L’investimento per il 2015 di Frontex è stato aumentato del 16%, da 97 milioni di euro a 114. E la più grande quota dei finanziamenti supplementari è stato diretta verso le operazioni congiunte in mare.

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Ciò riflette la strategia politica migratoria in Europa, che ha portato ad una travolgente attenzione al controllo delle frontiere e della gestione dell’immigrazione, nonché alla fondamentale, forse dolosa, incomprensione delle ragioni per cui le persone in primo luogo fanno la traversata.

Il governo britannico ha rifiutato di sostenere le operazioni di ricerca e salvataggio per evitare che immigrati e rifugiati anneghino nel Mediterraneo, semplicemente sostenendo che ciò incoraggia altri a intraprendere il viaggio. Downing Street ritiene che il salvataggio di coloro che stanno annegando crea un “fattore di richiamo non voluto” e che gli sforzi dovrebbero invece concentrarsi sulla prevenzione, impedendo alle persone di fare la traversata.

L’aspettativa, a quanto pare, è che la (futura) paura di annegare supererà il timore (immediato) di violenze e persecuzioni. Per molti questo non è assolutamente vero. Nel frattempo le notizie continuano a scorrere.

Quando è stata annunciata la decisione di scartare Mare Nostrum, la Marina italiana ha detto che avrebbe continuato il suo ruolo di ricerca e salvataggio, nonostante le pressioni politiche per fare altrimenti. E’ tempo che anche il resto dell’Europa si faccia sentire.

 

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