Nel ventre del drago

I confini della fabbrica

Juvi: Il primo giorno di lavoro, ti cambiano il nome, ti danno un nome cinese (sono ancora capace di scriverlo); è il nome che ti identifica all’interno dell’azienda e nella tua vita a Taiwan, non essendo in possesso dei nostri documenti, ma unicamente della tessera dell’azienda.

Il giorno dell’arrivo, dopo l’ospedale, ci hanno portati al dormitorio. E’ una struttura grande, di proprietà dell’azienda, con stanze dove dormono minimo quattro persone. Nel dormitorio, non puoi cucinare: l’azienda ti dà la prima colazione e altre poche cose, soprattutto latte, che noi non bevevamo, perché era troppo. Nel dormitorio sono alloggiati i lavoratori provenienti anche da altri paesi: Vietnam, Indonesia, Thailandia. Ci dividono per nazionalità. Ci sono regole precise nei dormitori, che devono essere rispettate. E’ l’agenzia di recruitment che manda delle persone a controllare di notte. L’agenzia è responsabile del nostro comportamento durante il soggiorno a Taiwan. Se fai qualcosa che non va bene, ti danno un warning sheet. Hai ha disposizione tre warning sheets: alla terza, sei licenziato, ti vengono a prendere al dormitorio, ti portano all’aeroporto in un’ora. Non so se ti ridanno i soldi che hanno trattenuto mensilmente, nel caso in cui sei licenziato.

Jackie: L’azienda impiega lavoratori locali e migranti. La maggior parte è costituita da questi ultimi, perché i locali lavorano solo nel turno diurno, mentre i migranti sono concentrati negli altri due turni.

Juvi: Alcune aziende, come Asus, dove ho lavorato nella mia prima migrazione a Taiwan, sono localizzate in campagna. Lì è molto difficile vivere, perché sei sempre attaccata all’azienda. La mia vita era solo lavorare, dormire e mangiare. C’era un mercato notturno, ma dovevi andarci in gruppo, perché era pericoloso. Nel secondo lavoro, alla Lindsen, dove abbiamo lavorato insieme io e Jackie, era diverso: dentro a una città, con la possibilità di uscire, andare al cinema, a mangiare fuori. Abbiamo fatto anche alcune amicizie con delle ragazze cinesi. 

LEGGI ANCHE:   #viaggiadacasa 10 – Cina (con Gabriele Battaglia)

Jackie: I cinesi non ci discriminavano sul lavoro, anche il caposquadra, fuori dal lavoro, era molto amichevole con noi. Ma questo era nove anni, adesso mi hanno detto che è differente.

Juvi: A Taiwan, potevi lavorare solo tre anni, poi te ne dovevi andare e non potevi più tornare. Se volevi tornarci, dovevi cambiarti il nome o prendere in prestito il nome di un’altra persona che non intende andarci. Io l’ho fatto, ho cambiato il nome per tornarci la seconda volta. Ho dovuto pagare di nuovo la persona che mi aveva cambiato la data di nascita. Questo era la situazione prima: adesso puoi lavorarci fino a nove anni, ma sempre per periodi di tre anni ciascuno. Il processo però non è cambiato: ogni volta devi pagare l’agenzia, fare le visite mediche e pagarle. In più, le condizioni sono peggiorate: non hai più il cibo gratis, te lo trattengono dal salario, e altri benefits. In compenso, il salario è un po’ più alto.

Juvi: Lavorare in Asus e lavorare in Lindsen è molto diverso. In Asus è molto più dura. Ci sono molti reparti: io lavoravo in quello delle schede madri. Lavoravo a una macchina, un lavoro durissimo, perché devi stare sempre in piedi, controllando ogni pezzo che la macchina inserisce nella scheda madre. Dovevo controllare che la scheda madre fosse a posto. Se una scheda passa e non va bene e arriva così al cliente, il manager si arrabbia tantissimo. Io ho passato 3.000 schede madri a HP e alcune non andavano bene. Il “line leader” mi ha detto: “se il manager si arrabbia, non dire niente, stai zitta”. Il manager è venuto e mi ha detto, urlando: “se capita di nuovo, devi pagare. Ti faccio vendere la tua casa nelle Filippine”. La pressione è altissima, perché il reparto dove lavoravo è il primo passaggio per fare un pc.

LEGGI ANCHE:   #viaggiadacasa 10 – Cina (con Gabriele Battaglia)

In Lindsen non è così: stai seduta con gli occhi incollati al microscopio usi le dita per produrre i microchips. Se fai un errore, ricevi un primo avviso. Al terzo, sei fuori. La differenza in Lindsen è che lavoravamo sedici ore, e poi altre sedici ore, che tu voglia o no. Non in tutti i reparti si lavora sedici ore. 

Jackie: Sì, io lavoravo solo otto ore, perché ero al controllo finale dei prodotti e il mio compito era di valutare in quale reparto avevano fatto un errore e fare rapporto al mio capo. Da lì, il pc passa al QC (quality control) e quindi al cliente. Il QC occupa solo cinesi. Se qualcosa non va bene, la colpa ricade sul mio reparto.

La cosa più brutta che mi è capitata è stata quando un’altra lavoratrice aveva già due avvisi, quindi un terzo avrebbe significato il suo licenziamento. Loro tendevano a metterci uno contro l’altro, ci obbligavano a essere molto duri se qualcuno faceva un errore. Questa persona ha fatto un terzo errore. Io mi sono presa la colpa per non farla licenziare (era una donna anche lei filippina). L’agenzia di recruitment avrebbe saputo che io ho fatto un errore. E’ l’agenzia la principale responsabile per i lavoratori: c’è un legame molto stretto tra agenzia e azienda: questa fa totale affidamento sulla prima per il comportamento dei lavoratori.

LEGGI ANCHE:   #viaggiadacasa 10 – Cina (con Gabriele Battaglia)

(continua nella quarta pagina)


Profilo dell'autore

Redazione
Redazione
Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.

2 Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.