Nel ventre del drago

Dei due aspetti menzionati all’inizio (infrastrutture delle migrazioni e sistema della fabbrica allargata), vorrei provare ad articolare qualche breve riflessione solo sul primo, alla luce delle significative parole di Jackie e Juvi, per concludere con un esempio che ci riguarda molto da vicino.

Gli autori sopra citati, Xiang e Lindquist, definiscono la “migration infrastructure” come l’insieme di “tecnologie, istituzioni e attori che, sistematicamente interconnessi tra loro, facilitano e condizionano la mobilità” (pag. 124, trad. mia). Le infrastrutture di cui si parla in quell’articolo sono esattamente le stesse che hanno facilitato e condizionato le pratiche di mobilità di Jackie e Juvi, sia verso Taiwan, sia verso l’Italia: commerciali (l’agenzia di recruitment), regolatorie (strutture pubbliche di vario livello e natura, burocratiche, sanitarie, formative), tecnologiche e finanziarie (gli operatori di telefonia, i sistemi di invio di denaro, ecc.). Mi verrebbe da aggiungere che ha scarsa rilevanza il grado di “legalità” di queste infrastrutture – maggiore, almeno formalmente, per il raggiungimento di Taiwan, nulla, nella migrazione verso l’Europa -, mentre assume un significato forte il carattere transnazionale delle stesse. L’agenzia di recruitment, il sistema sanitario e quello burocratico, gli operatori di telefonia e di invio di denaro operano in uno spazio che travalica i confini degli stati-nazione, dialogano con la stessa facilità con operatori, controllano e puniscono i lavoratori, in uno stato o in un altro. “Non sono i migranti che migrano – scrivono i due autori – ma una costellazione fatta di migranti e non-migranti, di attori umani e non-umani. [Questo conduce] a un processo di ‘involuzione infrastrutturale’, in cui le infrastrutture delle migrazioni diventano auto-riproduttive e autoreferenziali” (pag. 124, trad. mia).

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Questo modello è lo stesso che il Ministero del Lavoro e la sua poco credibile agenzia Italia Lavoro (lo dico con cognizione di causa) sta usando nel promuovere il sistema migratorio basato su accordi bilaterali con paesi terzi, formazione in loco per la lingua italiana e orientamento professionale, reclutamento di mano d’opera. Le strutture abilitate in Italia ad agire in questo ambito sono state ampliate molto, gli interlocutori locali funzionano da “sparring partner”, alimentando, come mi è stato riferito per la Tunisia, pratiche di corruzione molto diffuse. In tutto questo, svolgono un ruolo importante anche le strutture “umanitarie” (come già hanno segnalato anche Xiang e Lindquist): l’OIM ha partecipato attivamente, nella fase iniziale, a questo progetto, entrando con pieni meriti a far parte della costellazione di cui si è detto prima.

La patina di “legalità” contribuisce a far percepire le migrazioni che si dispiegano all’interno di questo sistema come regolari, libere e meglio finalizzate. L’impressione è che alla base vi siano quelle logiche di autoriproduttività e autoreferenzialità delle infrastrutture che si è detto prima, le quali non tengono conto – ma non potrebbe essere diversamente – di quello che le centinaia di migliaia di Jackie e Juvi mettono in evidenza quotidianamente: la soggettività migrante e il carattere non addomesticabile, imprevedibile e “sublime” delle migrazioni.

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Jackie Banaang, Juvi Elalto, Stefano Rota – Transglobal


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