Cosa può spingere una giovane donna irlandese, pienamente realizzata, con un lavoro stabile e che conduce una vita agiata e soddisfacente a lasciare tutto?
Tara McCartney (irlandese di nascita, ma residente a Monaco di Baviera da tanti anni) ha 41 anni quando, nel 2011, va in vacanza in India, e rimane profondamente colpita, affascinata ma allo stesso scioccata da questa nazione così ricca di contraddizioni, dove l’energia, i colori e la musica che invadono le strade si perdono nella disperazione e nella povertà di tanti villaggi, dove discriminazione e disperazione fanno da padrone.
“In pochissimo tempo ho capito di appartenere a quel posto”, dichiara Tara dopo aver passato qualche giorno nel vilaggio di Japir, nell’entroterra indiano, presso una famiglia locale.
In India – su 1.25 miliardi di abitanti – quasi 800 milioni non hanno accesso a servizi sanitari, oltre il 32% della popolazione vive sotto la soglia minima di povertà e, in particolare nell’India rurale, i cittadini vivono in condizioni che vanno oltre ogni immaginazione.
È per mettere la parola fine a questi ed altri problemi con i quali parte della popolazione indiana è costretta a fare i conti tutti i giorni che nasce “United for Hope”, organizzazione non governativa pensata da Tara McCartney, dopo quel famoso viaggio in India, e che vede la luce nel 2013 a Monaco.
Progetti, costruzioni e forniture di beni e servizi, accompagnati da programmi di sensibilizzazione e di educazione e di integrazione e cooperazione con le popolazioni locali al fine di costruire dei sistemi replicabili, auto sostenibili e consapevoli.
Villaggi dove non ci sono norme igieniche, dove è normale defecare per strada e dove educazione e istruzione sono privilegio di pochissimi. Provate ad immaginare come vivono le donne, la cui condizione di discriminazione, sfruttamento e violenza è nient’altro che abitudine. Sono loro, sottolinea Tara, a sopportare le avversità maggiori. Basti pensare agli innumerevoli casi di stupri quando escono di sera per andare a fare i propri bisogni, alla ricerca di un po’ di privacy tra le strade non illuminate dei villaggi.
Questa è la situazione con la quale il team di United for Hope, un piccolo e solido nucleo di professionisti supportato da una grande squadra di volontari internazionali, deve fare i conti ogni giorno. E non si darà pace, dice Tara, fino a quando queste situazioni deplorevoli non sperimenteranno cambiamenti consistenti.
United for Hope ha fatto passi da gigante in questi soli due anni di operatività. I suoi progetti hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei villaggi indiani sotto tutti gli aspetti: acqua pulita, bagni, forniture energetiche, educazione ed istruzione. L’obiettivo di United for Hope è di tutelare i diritti basilari che noi facciamo fatica a pensare possano anche non essere garantiti o addirittura negati.
L’organizzazione, tramite il proprio programma “Adotta un Villaggio”, il cui paese pilota è Tirmasahun – in Uttar Pradesh, sta mettendo in piedi strutture che servano le esigenze della comunità, ristrutturando scuole e costruendo servizi igienici ed installando depuratori d’acqua nei villaggi che, fino a pochissimo tempo fa, quando United for Hope non era ancora entrata in azione, non avevano nemmeno l’illuminazione stradale.
Ed è così che tra storie che spezzano il cuore, come quella di un ragazzino di 14 anni che, affetto da una grave malattia che i medici del posto non hanno saputo ben identificare, giace su un letto di legno, tra i propri escrementi, assalito dalle mosche da 8 anni, o quella di una giovanissima ragazza che afferma di non voler provare a sognare, perché “rimarrà comunque nient’altro che un sogno”, il team di United for Hope si è fatto strada.
United for Hope lavora tramite progetti, costruzioni e forniture di beni e servizi, accompagnati da programmi di sensibilizzazione e di educazione e di integrazione e cooperazione con le popolazioni locali al fine di costruire dei sistemi replicabili, auto sostenibili e consapevoli.
Tornando alla domanda iniziale, cioè cosa può aver spinto Tara a lasciare tutto per dedicarsi pienamente ai meno fortunati, possono esserci svariate risposte: coerenza, coraggio, amore per il prossimo; lei stessa ha dichiarato di aver lasciato il suo vecchio impiego perché “si lavora molto senza rendere il mondo un posto migliore”.
Questo, insomma, il leitmotiv che ha portato United for Hope fino a qui e che, accompagnato dal supporto di coloro che credono in questa missione, li porterà ancora più lontano.
Ignazio Pardo
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