Un’associazione di giornalisti per Paolo Dall’Oglio

Il 29 luglio 2013 il missionario gesuita padre Paolo Dall’Oglio veniva rapito a Raqqa, odierna capitale de facto del sedicente Stato Islamico. A due anni dal sequestro nasce l’associazione “Giornalisti amici di padre Dall’Oglio”, per ricordare l’impegno al dialogo tra culture e religioni del gesuita richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni.


L’INFOGRAFICA: Chi è padre Paolo Dall’Oglio?


“In fondo ha svolto una attività giornalista nell’ultima parte della sua vita apostolica, oltre ad essere sempre stata una persona che ha collaborato con i giornalisti”, ha dichiarato Padre Luciano Larivera, scrittore della Civiltà Cattolica. “Quindi è un dire ‘no’ a quest’uso del sequestro come arma di intimidazione, che poi è un atto di terrorismo terribile, perché uno quasi si trova nell’angoscia di sperare quasi che un amico sia morto piuttosto che saperlo prigioniero dell’Is sotto chissà quali pressioni e torture. Da un lato viverlo profondamente questo evento e nella fede sapere che ognuno è vivo in Cristo, è vivo in Dio: quindi saper cogliere anche gli elementi di resurrezione cristiani, cioè il suo pensiero, il suo esempio. Lui è lì dove voleva essere, nel modo in cui lui voleva essere, mischiando la sua carne nel sangue e nella terra di questo popolo”.

Riccardo Cristiano, giornalista di Radio Rai e uno dei promotori dell’associazione, definisce Abuna Paolo come “un profeta dell’oggi”. “Un cittadino italiano, come tutti noi. Ricordare il suo impegno, la sua dedizione al dialogo tra culture e religioni, il suo impegno civile, sociale, culturale, spirituale, è la prima delle nostre intenzioni. Chi ha sequestrato padre Paolo non ha sequestrato la sua testimonianza di fede e il suo pensiero, il suo impegno, il suo servizio”.

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“Non ho mai visto fiocchi gialli, né tantomeno gigantografie di padre Paolo Dall’Oglio appese nelle facciate dei municipi”, commenta il giornalista Rai Amedeo Ricucci. “Oggi il suo nome viene tirato fuori solo in chiave statistica per ricordare che sono cinque gli italiani sequestrati nel mondo, quattro in Libia e uno, padre Paolo appunto, in Siria”. Ma, aggiunge Ricucci, “ricordare padre Paolo, significa non dimenticare anche i 250mila morti della guerra siriana, le migliaia di detenuti nelle carceri dell’una e dell’altra parte in lotta. Purtroppo oggi parlare di Siria è parlare solo dell’Isis, dello Stato islamico. La Siria non fa più notizia”.


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