“Oggi è un giorno triste. È morto, a 83 anni, Carlos Alberto Brilhante Ustra, ex comandante del DOI-Codi, uno dei maggiori centri di tortura della dittatura civile-militare. Ha vissuto 60 anni più di mio zio, Luiz Eduardo da Rocha Merlino, al quale impedì di continuare a vivere comandando le interminabili sessioni di tortura che lo portarono alla morte, il 19 luglio del 1971. Ustra è morto di morte naturale, non assassinato, come le sue vittime.
Giorno triste per tutti i familiari dei morti e dei desaparecidos per suo ordine. E per quelli che sopravvissero alle torture. Perché Ustra è morto in un ospedale. Avrebbe dovuto morire in prigione. Giorno triste perché è morto senza essere stato arrestato e giudicato.
Per decenni, i familiari dei morti e dei desaparecidos hanno lottato per la giustizia. Solo nel 2008 venne dichiarato torturatore dal tribunale di San Paolo, dopo un’azione giudiziaria promossa dalla famiglia Teles. Nel 2012, venne condannato, in prima istanza, a pagare un indennizzo alla mia famiglia, per danni morali. È quel poco che si è riusciti ad ottenere, nel paese in cui un torturatore della dittatura non viene punito.
Oggi, l’impunità ha vinto sulla giustizia.”
A scrivere queste parole amare è la giornalista Tatiana Merlino, nipote del giornalista e militante di sinistra Luiz Eduardo da Rocha Merlino, morto a soli 23 anni tra le mani dell’aguzzino Ustra. Il video che vi proponiamo è un eccellente documentario realizzato nel 2014 da Frederique Frida Zingaro e Mathilde Bonnassieux per la rete televisiva franco-tedesca Arte.
La dittatura militare in Brasile è durata 21 anni, dal 1964 al 1985. Il 10 dicembre 2014, Giornata Internazionale dei Diritti Umani, 50 anni dopo il colpo di stato, la Commissione Nazionale sulla Verità, incaricata dalla presidente Dilma Rousseff nel maggio 2012 di far luce sui crimini commessi in quegli anni sanguinari, ha presentato le sue conclusioni. Il Brasile ha fatto un lavoro innegabile sulla memoria, che si è dimostrato però parziale e deludente per le vittime della dittatura e, soprattutto, continuerà a rimanere l’unico paese dell’America Latina che non giudicherà i suoi aguzzini, graziati con un’amnistia nel 1979.
L’impunità garantita ai militari di ieri è la stessa quasi sempre accordata a quelli di oggi. Le torture, i desaparecidos e gli assassini del regime di ieri, si perpetuano oggi nelle azioni della polizia militare. “La dittatura non è mai finita”, sostiene Debora Silva Maria, leader delle Mães de Maio (Madri di Maggio), in un intervista nel corso del documentario. La presidente Dilma Rousseff, ella stessa vittima della dittatura, ha rivendicato il suo passato di militante rivoluzionaria, durante la campagna elettorale, ed è stata rieletta alla Presidenza, ma ha prontamente chiuso il vaso di Pandora, per non ridare vita a vecchi fantasmi, ancora pericolosi.
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