Sono state tantissime le iniziative del Festival di Yalla Campania, svoltosi dal 25 al 27 settembre scorso a Napoli. La città si è confermata multicolor: nelle piazze, nelle strade; nei cuori della gente, che ha risposto molto più che positivamente all’“invasione multietnica” della storica piazza Dante, riempitasi di dibattiti pubblici, concerti, proiezioni, presentazioni di libri, giochi per i più piccoli e tanto buon cibo da tutto il mondo. All’incontro aperto di sabato L’invasione che non c’è – Accogliere oltre l’Emergenza ha preso parte anche il sindaco, Luigi de Magistris, che raramente si lascia sfuggire l’occasione di ricordare il passato di una città che è sempre stata “un porto di mare”, dove si sono mescolate le più disparate nazionalità e culture.
Tra spettacoli di danza cinese, pièces teatrali, giochi di gruppo albanesi, ucraini e messicani, tuttavia abbiamo ascoltato una storia, in particolare, che merita di essere raccontata come si deve, sviscerandone i dettagli; poco importa se reali o di fantasia. È il reportage realizzato dal giovanissimo Alessio Arena, nel suo libro edito da Neri Pozza, La letteratura tamil a Napoli (2014). Classe ’84, lo scrittore -che ora vive a Barcellona- è cresciuto nel Rione Sanità, cuore pulsante della Napoli più vera, ed ha assistito nel corso degli anni ai cambiamenti della sua città, dove le case popolari hanno cominciato a riempirsi di persone che non parlavano più il suo dialetto, ma un’altra lingua.
Alcuni di questi colori e suoni Arena li ha ritrovati in Spagna, che il fil rouge della cultura Tamil collegava alla sua terra di origine. Il passo verso la scrittura, allora, è stato breve: quella che doveva essere una collezione di storie su una immaginaria Napotamil è diventata un romanzo incredibilmente sincretico. I Tamil non costituiscono la maggioranza degli immigrati sri lankesi a Napoli. Al contrario, essi sono una minoranza, rapportati ai senegalesi; la minoranza che è uscita devastata dalla guerra civile in madrepatria, durata dal 1983 al 2009.
Eppure, come tutte le altre comunità di immigrati presenti sul territorio, i Tamil non si sentono integrati, ma “tollerati”. Per questo, vivono ritirati nella Napoli Sotterranea; la stessa che offriva rifugio a chi scappava dai bombardamenti tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Non soltanto hanno costruito una città parallela -nell’immaginario picaresco di Arena- ma progettano anche un attentato, per riportare l’attenzione sulla loro causa! E mentre progettano, osservano, mischiandosi alla popolazione locale, con reciproca inconsapevolezza: san Gennaro si affianca alle divinità del Sub-Continente indiano sulla copertina del libro, mentre, al suo interno, si assiste alla convivenza di Madonne e Ganesh, nonché agli innesti musicali dei neomelodici Tamil; ancor più difficili da ascoltare di quelli originali. Ciononostante, la narrazione non risulta mai grottesca; anzi.
Il libro è costruito su citazioni ed echi de Nel Corpo di Napoli e Notre-Dame di Parigi, con punte di realismo magico sudamericano che emergono qua e là, fra un passaggio e l’altro. I personaggi sono vivi e vitali; caratterizzato ciascuno dalla propria unicità e dalla propria storia, coi suoi molteplici drammi. Ciascuno di essi fornisce uno sguardo nuovo su una città che somiglia sempre di più a “un insetto capovolto”, dove il silenzio pare vincere su tutto… o forse no. Arena racconta Napoli non coi toni neri di Gomorra, ma come un universo dalle mille sfumature, parte di quella Campania che piace a Yalla e a noi: “una Campania multietnica, dinamica, plurale e nuova”, per citare il loro slogan.
Profilo dell'autore
- Giornalista pubblicista dal 2012 e dallo stesso anno vagabonda fra Europa, Medio Oriente e Nord Africa. Traduttrice, anche. Il cuore come il porto della sua Napoli, scrive per lo più di interculturalità e mondo arabo-islamico.
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