Olio di palma, una risposta ambientalista

di Sergio Baffoni*

“L’olio di palma e la geopolitica della demonizzazione” è il titolo di un articolo pubblicato su Frontiere News a firma di Logan G Lee. L’articolo critica aspramente le campagne ambientaliste sui prodotti che contengono olio di palma: dannosità, impatti sull’ambiente e sulle popolazioni locali, sarebbero tutti argomenti pretestuosi. Lo sono davvero? Vediamoli uno alla volta.

Alimentazione. Logan G Lee sostiene che l’olio di palma, in “dosi normali”, non è più dannoso del burro, e forse è vero, non sono un esperto di alimentazione. Ma non bisogna essere esperti di alimentazione per accorgersi che, a differenza del burro, l’olio di palma è oramai ovunque, nella stragrande maggioranza dei prodotti confezionati: dalle merendine, ai biscotti, alla Nutella e molti altri meno sospettabili. L’olio di palma è una materia prima che costa poco e l’industria alimentare ci si è buttata a pesce. Non viene consumato in “dosi normali”, lo mandiamo giù a palate, come buona parte dei prodotti che consumiamo.

Ben più deboli sono gli argomenti sullo sfruttamento e sulla questione ambientale. Se il land grabbing è comune a molti altri prodotti, questo fenomeno si concentra nelle merci in rapida ascesa, dove il guadagno è certo, e i gruppi industriali si gettano per la corsa all’oro. L’olio di palma è uno di questi: la palma produce molto, e fa guadagnare tanto, non importa se a costo di rubare le terre a chi ci viveva, o di trasformare foreste pluviali uniche in piantagioni. O peggio, come è accaduto proprio quest’anno, di trasformare mezza Indonesia in un unico gigantesco rogo, perché il modo più economico di rendere una torbiera in pantalone prosciugarla e dare fuoco alla torba. Peccato che nella torba asciutta il fuoco non si controlla e si espande per chilometri nel sottosuolo per poi bruciare all’improvviso tutto quello che trova, persone, animali, piante. Solo quest’anno mesi di fumo continuato hanno causato malattie respiratorio a milioni di persone nell’intera regione del Sud-est asiatico, e per qualche mese l’Indonesia ha rilasciato più emissioni di carbonio degli Stati Uniti! Responsabili: i produttori di olio di palma e di carta (che poi in genere sono gli stessi conglomerati industriali). Senza contare che l’olio di palma promette di essere il più facile sostituto del petrolio, e questo lo rende un investimento sempre più redditizio, in un’escalation che danneggia seriamente l’intero pianeta.

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Nessuno demonizza l’uso tradizionale che in Africa occidentale si è sempre fatto dell’olio di palma. Ma il suo boom globale di problemi ne porta, e tanti. Non è molto corretto liquidare le critiche insinuando che siano state fatte nella comodità del proprio divano. Sono stato là, a Sumatra e Borneo, per mesi, immerso nelle paludi torbiere, costruendo dighe per fermare la distruzione, parlando con la gente a cui il business dell’olio di palma porta via la terra, vedendo foreste pluviali meravigliose sparire a vista d’occhio. Per sempre. E per cosa? Per far raggiungere a questi paesi uno standard di vita occidentale? Magari! Per espandere la miseria, mentre poche famiglie multimiliardarie si spartiscono la ricchezza, le terre e le foreste. Questo non mi sembra progresso!

Logan G Lee ci ricorda, questa volta giustamente, che l’Europa è prima al mondo per l’impatto sulla deforestazione, come rilevato in uno studio effettuato dalla Commissione Europea stessa, ma temo abbia dimenticato di legger il rapporto che cita, da cui viene fuori abbastanza chiaramente che uno dei motivi di questo impatto sulle foreste è dovuto proprio al consumo europeo di olio di palma!

Logan G Lee fa notare che l’Indonesia ha una superficie verde al di sopra del 50% (come ripete l’industria indonesiana dell’olio di palma e della carta). In questo modo ci lascia pensare a un 50% di ambienti naturali: non è così. Una parte consistente di questa “superficie verde” è stata trasformata in piantagioni. Che saranno pure verdi, ma sono prive di biodiversità, e se sequestrano qualche tonnellata di carbonio ogni anno, per contro ne rilasciano 80 tonnellate annue per ettaro a causa del degrado della torba!

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Da ultimo, ecco l’argomento favorito delle nuove borghesie rapaci: i paesi dell’occidente hanno distrutto l’ambiente per creare il benessere, ora i paesi in via di sviluppo hanno il diritto di fare lo stesso. Come se i crimini del passato fossero una buona giustificazione per quelli di oggi. Ma guarda guarda! Peccato in realtà sono sempre le grandi multinazionali dell’occidente a beneficiare maggiormente della distruzione dell’ambiente nel Sud del mondo. Anche nel caso dell’olio di palma. Nomi come Unilever, Nestlè, Cargill ricordano niente? Eh no, non sono i popoli del Sud che distruggono la natura per arricchirsi, sono le grandi multinazionali, in accordo con emergenti baroni locali, a devastare sempre nuovi territori, a sfruttare i popoli del Sud e a mettere un’ipoteca sul futuro di tutti.

Il pianeta è uno solo. La gara a distruggerlo non fa vinti, ma solo perdenti. Gli unici a vincere questa gara sono quelli che dalla distruzione si arricchiscono nel breve periodo, pronti a sparire e spostare i loro affari con la velocità di un click, appena un paese o una regione sono stati spremuti come un limone e sono da buttare via. Oggi l’olio di palma in Indonesia o in Congo, domani il cemento in Azerbaijan. Ma una volta che tutto è stato devastato e saccheggiato, alla gente del posto non resta nulla, niente miliardi da investire altrove. L’alternativa che resta è tra la miseria a casa, in un ambiente distrutto, e i terribili soprusi che subisce chi emigra. Con buona pace dei magnati dell’olio di palma.

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*Sergio Baffoni ha lavorato come ricercatore e coordinatore di campagne sulla salvaguardia delle foreste per diverse associazioni ambientaliste, come Greenpeace e Terra! Attualmente coordina la campagna internazionale contro la deforestazione dell’Environmental Paper Network (EPN), una rete di circa 200 associazioni che si battono per la difesa dell’ambiente e dei diritti dei popoli indigeni. Nell’ambito delle diverse campagne, ha preso parte a spedizioni sul campo in Africa, Amazzonia, Papua Nuova Guinea e Indonesia. Coordina inoltre il portare sulle foreste www.salvaleforeste.it


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