di Rami Jarrah
Undici profughi, tra cui sei bambini, sono stati uccisi da militari turchi mentre tentavano di attraversare il valico di frontiera di Khirbit al Joz dalla città siriana di Idlib. L’incidente, avvenuto nell’ambito della fuga delle famiglie dai combattimenti, non è il primo di questa natura: nel corso degli ultimi mesi, più di 50 rifugiati sono stati uccisi mentre tentavano di attraversare il confine. Vergognosamente neanche uno tra i rapporti sui diritti umani rilasciati è servito a contrastare il fenomeno.
Se la Turchia vuole continuare a proporsi come uno dei principali sostenitori dei profughi siriani, ci sono una serie di passi che deve iniziare immediatamente a fare. Uno è, ovviamente, quello di smettere di uccidere i rifugiati.
Deve poi iniziare a concedere ai cittadini facenti parti di gruppi d’aiuto o equipe mediche la possibilità di Siria, riconoscendo il loro lavoro anche qualora essi fossero non d’accordo con le politiche della Turchia. Al contrario, ora c’è il monopolio dell’IHH (İnsani Yardım Vakfı, una fondazione conservatrice turca di stampo marcatamente confessionale, ndr).
Un’altra cosa sarebbe dare, effettivamente, ai giornalisti l’accesso ai campi proprio come ogni altro stato europeo ha fatto finora. Altrimenti la speranza di entrare in Europa, vissuta dalla Turchia da tanto tempo, dovrebbe essere qualcosa da abbandonare per salvare l’imbarazzo.
I giornalisti che vivono in Turchia non stanno facilitando la questione: ho visto personalmente molti casi di giornalisti stranieri che evitano le storie scomode che coinvolgono la Turchia perché vivono in essa. Ciò è onestamente una vergogna. “Se vai via e inizi a scrivere di Siria e Turchia da Chicago o, se tecnicamente possibile, anche dalla Via Lattea, probabilmente riusciresti a fare un lavoro molto migliore”. Del resto non mi aspetto che i numerosi giornalisti che mi tolgono l’amicizia su Facebook perché sono stato arrestato dai turchi abbiano pubblicato storie in cui si criticano le autorità turche.
Quindi non sarà possibile sapere da loro che i siriani in Turchia non sono in realtà dei rifugiati, che molti di loro sono stati recentemente obbligati e sono in procinto di ottenere un “permesso di soggiorno turistico”. Eppure lo stato turco continua a parlare dei siriani come se fosse un ente di beneficenza.
Qualcuno che paga per un permesso di soggiorno e può permettersi di fare un bonifico di 6000 dollari (uno dei requisiti per il permesso) non richiede denaro dall’Europa per farle finire nelle tasche della Turchia.
La Turchia non è il grande salvatore dei siriani in fuga dal terrore di là del confine. In realtà essa stessa è diventata un grosso ostacolo e i siriani che vi abitano sono silenti solo per una ragione: perché hanno paura.
Nella foto in copertina: profughi bloccati a Khirbet Al-Joz in attesa di un permesso per entrare in Turchia, via Pinterest.
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