Ciò che bisogna sapere su Islam e omosessualità

Dall’omicidio dell’attivista lgbt turca Hande Kader – il cui corpo è stato trovato mutilato e bruciato nella periferia di Istanbul – alla strage del night club Pulse di Orlando, avvenuta per mano della guardia giurata Omar Seddique Mateen (manifestamente omofobo ma assiduo frequentatore del locale gay dove ha ucciso 49 persone) la cronaca degli ultimi mesi non è priva di episodi che farebbero temere una certa interpretazione dell’Islam nei confronti di omosessuali e transgender.

Affermare l’esistenza di una visione islamica unica e monolitica – su questo ma anche su molti altri argomenti – sarebbe però quantomeno scorretto. Chi ignora ad esempio le differenze tra le varie scuole giuridiche o l’impatto che alcune tradizioni pre-islamiche (e talvolta anti-islamiche) hanno in alcune culture, commette un errore grossolano che finisce per legittimare proprio talune derive che si intendono contrastare.

Abbiamo provato a destrutturare alcune false concezioni sul rapporto tra Islam ed omosessualità in questo dialogo con Nicolamaria Coppola, caporedattore di Epos World View ed autore del libro Omosessualità in Medio Oriente. Identità gay tra religione, cultura e politica.

Copertina a cura di Adhitya Pattisahusiwa/Magdalene.co

Partiamo dalle fonti. Il Corano non prevede alcuna ‘normativa’ che sanzioni sulla terra la condotta dell’omosessuale.

Chi porta avanti l’idea di un Corano che condanna l’omosessualità cita un episodio che troviamo in tutte le tre grandi religioni del Libro: la distruzione di Sodoma e Gomorra. Ma approfondendo le esegesi di sure e ahadith, non sono riuscito a trovare delle condanne aperte all’omosessualità, se non di tipo ultraterreno.

Le interpretazioni variano inoltre in base alle scuole giuridiche islamiche di riferimento. Delle 114 sure e 6236 versetti del Corano, i riferimenti all’episodio di Sodoma e Gomorra e all’omosessualità sono 5 sure e 33 versetti. Dire che il Corano e l’Islam condannino l’omosessualità è fuorviante. Quello che possiamo dire è che le interpretazioni delle diverse scuole della giurisprudenza portano alla condanna dell’omosessualità. Ma quando si dice che il problema è nell’Islam in quanto religione si fa una forzatura.


“Vi accostate con desiderio agli uomini piuttosto che alle donne. Sì, siete un popolo di trasgressori”

Sura 7: 81


La seconda fonte della legge islamica, che insieme al Corano compone la Shari’a, è la Sunna. Negli ahadith quali sono i riferimenti a condanne terrene per l’omosessualità?

Innanzitutto non si fa mai cenno all’omosessualità intesa come orientamento sessuale. Studiando la sunna del Profeta ci si accorge che le sanzioni previste non sono rivolte all’omosessualità come orientamento, ma alla sodomia intesa come pratica (liwat). Per quest’ultima, non essendo ascrivibile nei reati hudud, non è previsto alcun tipo di condanna obbligatoria (meno che mai la pena di morte). La sodomia fa parte dei reati tazir, considerati cioè nocivi alla buona convivenza sociale, ma per i quali né il Corano, né la sunna prevedono pene specifiche. La loro punizione ricade quindi nell’ambito della discrezionalità del giudice. Tant’è che in quei paesi in cui vi sono pene per il reato di sodomia, tali pene sono discordanti.

In Mauritania, Sudan e Iran, ad esempio, chi commette sodomia viene messo a morte. In Tunisia, Iraq e Libano la sodomia è condannata con il carcere, e le pene variano. La Giordania è un paese a religione musulmana e tradizione araba, ma non prevede nessuna sanzione di tipo legale. Anzi, lì l’omosessualità è lecita sin dal 1951; in Regno Unito invece, per fare un paragone, è rimasta illegale fino ai primi anni ’80.


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La dinastia omayyade è stata guidata anche da califfi omosessuali, e durante la dinastia abbaside alcuni poeti hanno fatto della propria omosessualità un segno di riconoscimento artistico. Abu Nuwas, poeta di corte durante il dominio del califfo omayyade al-Amin, fu amante dello stesso. Cose che oggi sarebbero impensabili.

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Vi sono teologi ed esegeti che ritengono che l’omosessualità sia arrivata in Medio Oriente con “l’invasione degli occidentali”, che sia una “secrezione” dell’infiltrazione culturale occidentale. È una delle cose più assurde che abbia mai sentito. Per loro la condanna viene vista anche come un’opera di respingimento di un elemento non considerato parte endemica della società. Una “non appartenenza” da dover dunque sradicare e sanzionare. Il problema risiede nella tradizione e non nell’Islam, ma ovviamente il confine tra tradizione, cultura e religione appare molto nebuloso.

La Giordania ne è un esempio lampante. Sebbene due uomini non rischino di essere arrestati (o messi a morte) per la loro condotta privata, si tratta di un paese profondamente omofobo. Perché la cultura, che è alla base di ogni relazione sociale, prevede che il maschio non debba mai andare al di fuori della struttura che la tradizione ha stabilito per il maschio stesso, che deve essere sempre rajul, mascolino (e lo stesso discorso vale anche per la donna). Tutto ciò che è fuori da questo ordine è sbagliato. Non possiamo prendere Amman come esempio, chiaramente, ma nelle zone rurali ci sono stati recentemente degli episodi di delitti d’onore a danno di gay e lesbiche. E non è la legge a prevederlo, bensì la tradizione. È un problema culturale.


Riconosco nel buio una luna
se al buio ti bacio:
bastasse baciarti ad eclissare l’aurora.

Invidio chi copri di baci,
chi scopre il segreto vestito
dei tuoi pantaloni di seta.

Abu Nuwas


Un hadith riportato da Abu Hurayra racconta l’episodio in cui Muhammad garantì protezione ad un musulmano mukhannath (traducibile come ‘effemminato’, correntemente il termine viene utilizzato come sinonimo di transgender, nda). Come è vissuta oggi la fede islamica da parte delle comunità LGBT?

L’attivismo LGBT nei paesi arabi sta emergendo, anche sulla spinta di alcuni eventi avvenuti su scala globale, con un impegno che mira prima di ogni cosa alla depenalizzazione del reato. Uno dei paesi nei quali il dibattito si sta facendo molto intenso è la Tunisia, dove nel 2015 il governo ha riconosciuto legalmente per la prima volta – un unicum nei paesi arabo-musulmani – un’associazione registrata nel Paese come dichiaratamente LGBT, la Shams. Nel gennaio 2016 il governo ha sospeso le attività dell’associazione, ma questo ha portato gli attivisti in piazza a schierarsi apertamente e a far sentire la propria voce. La prima fondazione che ha dato voce alle istanze dei musulmani omo/bisessuali e transgender è del 1997, la al-Fatiha Foundation. Un elemento da rimarcare è che non sia stata fondata in un paese arabo islamico, ma negli Stati Uniti, benché il fondatore sia il pakistano Faisal Alam (di famiglia cristiana). Un primo e timido tentativo di far sentire la propria voce.

Daayiee Abdullah
L’imam Daayiee Abdullah

Ci sono anche alcuni imam apertamente omosessuali.

Il più famoso, conosciuto per il suo “Jihad for love” e per i matrimoni omosessuali celebrati in moschea, è l’afro-americano Daayiee Abdullah. C’è un esempio molto interessante anche in Europa, il franco-algerino Ludovic Mohamed-Zahed, primo imam apertamente gay d’Europa. Ce ne sono anche altri, ovviamente. Si tratta di pochissimi esempi, che però mostrano un’evoluzione su cui riflettere.

Ma i ponti di umanità superano i confini geografici e la fede di appartenenza. Penso ad Amir Ashour, originario di Baghdad e rifugiatosi a Malmö perché minacciato dalla famiglia. Lui è il fondatore di IraQueer, un seguitissimo blog collettivo nato per dare voce agli LGBT iracheni e diventato punto di riferimento per gli omosessuali delle diaspore arabe in Europa.

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Mi viene in mente Taia Abdallah, franco-marocchino, considerato il primo scrittore arabo ad aver dichiarato apertamente di essere omosessuale. E poi penso a Hamed Sinno, frontman dei libanesi Mashrou’ Leila ed attivista LGBT. L’arte sta riuscendo a proporre un nuovo modello di dialogo?

Il grande merito che si deve a personalità pubbliche come quelle da te citate è l’aver reso di dominio pubblico, per la prima volta, una questione mantenuta nell’ombra e sulla quale vi era il totale riserbo e silenzio. Hamed Sinno ad esempio non è conosciuto soltanto per essere il vocalist di un gruppo eccezionale, ma anche per essersi schierato e per aver avuto il coraggio di mostrarsi al pubblico per ciò che è. Non senza conseguenze mediatiche e fatwe varie, per carità. Ma è riuscito a rendere quello dell’omosessualità un tema, perlomeno, di dibattito. Ciò che in realtà manca in tutti i paesi musulmani è una discussione aperta sul tema. Fino a pochi anni fa in Italia c’era lo stesso clima, quindi non dovremmo neanche meravigliarci più di tanto. C’è bisogno di rompere il muro di ipocrisia e astio. E queste personalità, attraverso l’arte, possono contribuire a rendere argomento di confronto questo aspetto del comportamento umano.


Nella canzone Shim el-Yasmine (شم الياسمين) – che racconta una relazione tra uomini – i Mashrou’ Leila criticano l’omofobia di gran parte della società araba. 

 

Nell’inchiesta realizzata per la stesura del libro ti sei soffermato su alcuni Paesi, considerati casi emblematici sulla questione omosessuale nei paesi islamici. Qual è la contraddizione più grande che hai riscontrato, anche in base alle testimonianze raccolte?

La coppia è considerata tale solo dopo un fidanzamento ufficiale e poi nel matrimonio, gli uomini sono dunque portati a trascorrere tra di loro gran parte della propria giovinezza. Ed è proprio in una vita tra soli uomini che la tendenza a condotte di tipo omosessuale diventa più probabile. Nel mio lavoro di ricerca ho intervistato diversi omosessuali sauditi. Sono rimasto sbalordito nel sentir dire che, nonostante il regno dei Sa’ud metta a morte i sodomiti, l’Arabia Saudita è considerata da loro un “paradiso gay”.

Ovviamente non sono d’accordo con questa definizione, resta comunque uno stato che sanziona e mette a morte gli omosessuali; ma la cosa interessante è che la netta separazione dei generi spinge gli uomini verso gli uomini, e paradossalmente in quel contesto una coppia omosessuale può vivere più facilmente e apertamente – con tutte le contraddizioni del caso – rispetto a una coppia eterosessuale non sposata. Saper vivere nell’ombra la propria omosessualità garantirebbe quindi, a detta loro, relativa serenità. Ma da un punto di vista identitario questo perenne nascondersi porta ovviamente alla soppressione di qualsiasi anelito al diritto al riconoscimento pubblico di sé. Consiglio la visione del documentario “A Sinner in Mecca” di Parvez Sharma, è illuminante.

https://www.youtube.com/watch?v=o7CugLjIigU

Alcuni analisti commettono l’errore di escludere da ogni considerazione l’Islam non arabo. Qual è la situazione in Indonesia (il più popoloso stato musulmano al mondo), in Iran (il più grande stato sciita) e in Turchia (sorta sulle ceneri del califfato ottomano)?

Innanzitutto non tutti i paesi che condannano l’omosessualità sono arabo-musulmani, benché la maggior parte delle nazioni che la considera illegale è a maggioranza musulmana. Dei 73 paesi in cui è illegale essere gay, oltre la metà è infatti di tradizione islamica.

La Turchia è un paese strano. Ufficialmente l’omosessualità non è condannata e non esistono leggi che la criminalizzano, ma viene punita attraverso tutta una serie di espedienti legislativi, come ad esempio le leggi sul pudore e la morale pubblica. Uno dei più famosi casi di delitto d’onore ai danni di un omosessuale è avvenuto nel 2008 a Istanbul, per mano del padre.

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L’Indonesia è considerata tendenzialmente laica. Ci sono davvero pochi casi di discriminazione istituzionale, per lo più a livello locale. Esistono organizzazioni LGBT che si stanno battendo non più per la depenalizzazione, bensì per il riconoscimento di omosessuali e transessuali.

L’Iran è il paese con il più alto numero di esecuzioni capitali, uno dei pochi al mondo in cui l’omosessualità non è soltanto sanzionata, ma addirittura perseguita con la pena di morte. È impossibile quantificare il numero effettivo di condanne eseguite dalla Repubblica Islamica dell’Iran, perché molti omosessuali vengono condannati per stupro. La giurisprudenza iraniana e gli articoli del codice penale non definiscono in maniera netta la differenza di condotta tra stupro e sodomia. Dal 2006 al 2010 si stima che siano stati messi a morte circa 200 iraniani con il reato di sodomia. L’episodio più tristemente famoso,che probabilmente ha reso di dominio pubblico la questione omosessualità in Iran, è stata l’esecuzione di Mahmoud Asgari e Ayaz Marhoni nel 2005. Va segnalato che l’Iran, se da un lato è così scrupoloso nel mettere a morte gli omosessuali, dall’altro ha legalizzato gli interventi per la riassegnazione sessuale. C’è un aspetto problematico in questo paradosso. Chi è riconosciuto come affetto da un disturbo dell’identità di genere viene sottoposto a intervento, pagato dallo stato, per il cambio di sesso (e i chirurghi iraniani hanno raggiunto una qualità di interventi di riassegnazione davvero elevata). Il problema sussiste però nel caso in cui gay e lesbiche sono costretti a sottoporsi all’intervento per avere salva la vita. Vedendo distrutta la propria identità, perché omosessuale e transessuale non sono affatto sinonimi.

Nei 73 paesi in cui essere gay è reato, le pene previste riguardano la condotta maschile. Non contemplare l’eventuale esistenza di un’omosessualità femminile è un modo per relegare la donna all’ambiente domestico di appartenenza al marito, sempre e comunque?

Sì. Il problema di fondo è la percezione della donna in quanto donna. Non è considerata l’eventualità che una donna, in quanto tale, possa provare attrazione fisica o sentimenti verso un’altra donna. Per me è stato molto complicato provare ad accedere al mondo dell’omosessualità femminile in ambito musulmano… e, infatti, non ci sono riuscito. Ma anche qui vengono in soccorso le arti, uno dei temi maggiormente affrontati nei romanzi che parlano di omosessualità è proprio il lesbismo. L’auspicio è che il tema diventi oggetto di dibattito nei media mainstream e nelle pubblicazioni tradizionali.


Profilo dell'autore

Valerio Evangelista

Valerio Evangelista
Dal suo Abruzzo ha ereditato la giusta unione tra indole marinara e spirito montanaro. Su Frontiere, di cui è co-fondatore, scrive di diritti umani e religioni.

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