Inchiesta del collettivo Askavusa
Il 2 ottobre 2013, alle 03:00, un peschereccio di circa 20 metri partiva dalla costa della città di Misurata, in Libia, con a bordo 540 persone, la maggior parte di nazionalità eritrea. Dopo circa 24 ore di navigazione l’imbarcazione arrivava in prossimità dell’isola di Lampedusa e il conducente della barca spegneva il motore. Per quasi due ore la barca rimaneva ferma davanti all’isola con il motore spento. L’imbarcazione cominciava ad imbarcare acqua sottocoperta.
Tra le 2.30 e le 3.00 del 3 ottobre due barche si avvicinano all’imbarcazione carica di persone. Le due barche provenivano dalla direzione del mare, una dalla destra e l’altra dalla sinistra della barca. Dopo aver puntato i fari sulla barca carica di persone e averle fatto un giro attorno, le due imbarcazioni facevano rotta verso il porto di Lampedusa.
Nei frammenti di tracciati di cui siamo venuti in possesso (nell’area e nello spazio temporale descritto nelle testimonianze) si può risalire ad un natante, la “Motopesca Cartagine” che fa dei movimenti che corrispondono a quelli descritti dai sopravvissuti attorno la barca.
Nell’interrogatorio sostenuto da sei dei sopravvissuti il 07/10/2013 non si approfondisce mai questo punto né tantomeno l’omissione di soccorso. L’interrogatorio è stato condotto dal Procuratore della Repubblica Dr Renato Di Natale, dal Procuratore della Repubblica Aggiunto Dr Ignazio Fonzo e dal sostituto procuratore della Repubblica Dr Andrea Maggioni.
Le indagini si sono concentrate principalmente sulla figura di Bensalam Khaled, che sarà poi condannato nel 2015 a diciotto anni di reclusione e ad una multa di dieci milioni di euro per naufragio colposo e “morte provocata come conseguenza di un altro reato” dal gup del Tribunale di Agrigento, Stefano Zammuto. Bensalam Khaled si è sempre dichiarato un semplice passeggero. Il comune di Lampedusa e Linosa si è costituito parte civile nel processo.
Durante l’interrogatorio uno dei sopravvissuti dichiara, a proposito delle due barche:
«Si trattava probabilmente di due pescherecci».
Ma chi interroga va avanti senza approfondire. In un’altra parte del verbale dell’interrogatorio (ad un altro dei sopravvissuti) si riporta quanto segue:
R: Eravamo quasi arrivati tanto è vero che vedevamo le luci provenienti dall’isola. Credevamo che dall’Italia ci avessero già avvistati e venissero a prenderci. Peraltro, si sono avvicinate due imbarcazioni e questo mi faceva pensare che qualcuno ci avesse avvistati ma noi non abbiamo chiesto aiuto in quanto pensavamo che da lì a poco sarebbero arrivati i soccorsi.
D: Di che tipo di imbarcazioni si trattava?
R: Non penso si trattasse di imbarcazioni militari, ma si trattava probabilmente di due pescherecci. Non si capisce perché l’interrogato risponda negando il fatto che le imbarcazioni fossero militari visto che nella domanda non vi era contenuto nessun riferimento a questo particolare. Nel verbale gli altri interrogati affermano che le due barche sono barche da pesca o civili, a parte uno che dice di non sapere che tipo di barche fossero.
Nelle interviste che abbiamo condotto noi nei giorni successivi al naufragio invece abbiamo ascoltato versioni diverse. Riportiamo una parte di una di quelle interviste:
D: Puoi riconoscere l’imbarcazione tra una di queste foto?
R: (Indica una foto con una barca della Guardia di Finanza).
D: Come erano vestite le persone a bordo?
R: Di nero, sembrava una divisa nera.
D: Quante persone hai visto?
R: Due. Uno davanti la nave, l’altro dietro.
D: Perché sei sicuro che la prima nave sia questa?
R: Nel suo insieme mi sembra questa.
D: Hai rivisto queste imbarcazioni in porto a Lampedusa nei giorni seguenti?
R: Si, le ho viste.
D: Quand’è che hai capito che si trattava di una moto barca della Guardia di Finanza?
R: Adesso l’ho capito.
D: Dove hai fatto il servizio militare in Eritrea?
R: Nella marina, ho lavorato nella marina militare. Dalla forma, dalle antenne e dalle luci ho capito che la nave è questa.
Nel seguente video possiamo sentire uno dei sopravvissuti essere interrotto dal suo traduttore mentre stava per descrivere una delle due barche:
Nelle prime ore del naufragio molti parlano di queste barche che non si sono fermate. Il sindaco di Lampedusa affermava: «raccontano che alcuni motopesca, due o tre, sono passati e sono andati avanti senza aiutarli. Questo è quello che dicono loro, ma se è vero bisognerà fare luce anche su questo».
Tre giorni dopo il sindaco di Lampedusa emanava un comunicato ufficiale dove si legge:
«Basta con questa inutile e ingiusta polemica. I pescatori della marineria di Lampedusa non lasciano morire i migranti in mare. Non lo hanno mai fatto e non lo faranno mai».
Così il sindaco delle Pelagie, Giusi Nicolini, intende mettere la parola fine alla disputa sorta intorno alla vicenda della presunta omissione di soccorso ai naufraghi dell’Isola dei conigli . Non ci spieghiamo come mai chi ha indagato non abbia approfondito questo punto e non si siano interrogati i componenti dell’equipaggio della Motopesca Cartagine che, come riportano diversi articoli di giornale, era stata sequestrata in Tunisia il 20/09/2013 e rilasciata il 25/09/2013 con 9 uomini di equipaggio a bordo (3 mazaresi e 6 tunisini).
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