Kosovo, la fine di Thaçi detto il Serpente

Cosa sono le Kosovo Specialist Chambers (KSC), l’organo speciale dell’Aja chiamato a giudicare l’ex presidente del Kosovo Hashim Thaçi, accusato di crimini di guerra? E perché sono contestate? Per Maria Stefania Cataleta, una dei quattro avvocati italiani ammessi al patrocinio innanzi alle Kosovo Specialist Chambers, l’obiettivo è giudicare l’uomo, non capovolgere la storia. Articolo di Riccardo Bottazzo.

Il suo nome di battaglia era “Serpente”. Combatteva in Kosovo nelle file dei guerriglieri dell’Uçk al tempo delle guerre balcaniche, contro l’enclave serba e anti-albanese sostenuta da Slobodan Milošević. Sino a qualche mese fa Thaçi era il presidente, nonché uomo più potente del Kosovo, indicato da alcune relazioni del Consiglio d’Europa come “padrino” di una rete di traffico di organi e di eroina.

Scriviamo “sino a qualche tempo fa” perché il 5 novembre Hashim Thaçi è stato costretto a lasciare la sua alta carica istituzionale dopo che gli sono stati confermati i capi d’accusa per crimini di guerra e crimini contro l’umanità formulati dal Procuratore delle Kosovo Specialist Chambers (KSC). Hashim Thaçi dovrà quindi rispondere alle accuse come privato cittadino. E assieme a lui, nel banco degli imputati, siederanno altri politici kosovari di primo piano, come Kadri Veseli, leader del partito democratico del Kosovo (lo stesso di Thaçi). Tra le accuse rivolte a tutti questi ex combattenti dell’UÇK, ci sono oltre cento omicidi a base xenofoba che hanno avuto come vittime serbi e rom ma anche albanesi considerati collaborazionisti o semplicemente oppositori politici. Non manca, tra le accuse, anche un considerevole numero di stupri, torture e sequestri.

Di tutto questo, Hashim Thaçi, oramai ex uomo più potente del Kosovo, e i suoi accoliti dovranno rispondere senza lo scudo dell’immunità politica. Scudo con il quale hanno tentato sino all’ultimo di parare il colpo, considerando che la stessa Procura delle Kosovo Specialist Chambers ha più volte denunciato come Thaçi e compagni non si sarebbero fatti scrupolo di ostacolare in tutti i modi il lavoro di indagine della Corte, anteponendo in questo modo, “i loro interessi personali alle vittime dei loro crimini, allo Stato di diritto e a tutto il popolo del Kosovo”, come si legge in una nota diffusa dalle Ksc.

Comunque vada a finire il processo, le dimissioni del presidente del Kosovo, rimarrà la prima, grande vittoria del Kosovo Chambers e, in generale, del diritto internazionale.

Le Kosovo Specialist Chambers, ricordiamolo, sono un nuovo istituto giuridico creato ad hoc per il Kosovo nel 2010 quando il Consiglio d’Europa pubblicò il cosiddetto “Marty Report” che denunciava una lunga serie di crimini di guerra e contro l’umanità commessi prima, durante e dopo l’intervento in Kosovo della Nato nel 1999, dai paramilitari dell’UÇK, l’Ushtria Çlirimtare e Kosovës, nome albanese traducibile come “esercito di liberazione del Kosovo”. Le KSC sono una corte di giustizia nazionale, ma con caratteristiche internazionali. La sede, ad esempio, si trova a l’Aja, i giudici e il personale sono internazionali e non possono essere kosovari. Questo per garantire imparzialità, immunità ed evitare interferenze e intimidazioni provenienti dall’interno.

Per permettere la creazione di questo nuovo istituto misto, metà nazionale e metà internazionale, il parlamento kosovaro ha dovuto mettere mano alla costituzione, adottando una apposita legge che fu approvata il 3 agosto 2015. Una legge, come era lecito attendersi, contestata da quegli stessi politici kosovari che avevano militato nelle file della guerriglia filo-albanese e che ora si sono visti inquisire dalla nuova corte.

Una contestazione feroce che ha comunque avuto un forte appoggio popolare, considerato che molti kosovari di origine albanese continuano ancora oggi a vedere nei paramilitari dell’UÇK degli autentici patrioti e leggono nell’istituzione delle Kosovo Specialist Chambers una pesante interferenza dell’Unione europea. In altre parole, le KSC, pur se rientrino ufficialmente nel sistema giuridico kosovaro, sono viste dall’opinione pubblica del paese come un tribunale straniero, imposto per di più da una comunità, come quella europea, che durante le guerre balcaniche ha lasciato correre su troppe violazioni dei diritti umani commessi sia da una parte che dall’altra.

Viaggiando in più occasioni nei Balcani, ho avuto modo di constatare che un solo argomento mette tutti d’accordo, a prescindere dalla nazionalità, dalla cultura, dalla religione, dalla militanza e dal credo politico. E cioè che durante le guerre balcaniche il comportamento dell’Unione europea è stato vergognoso. Ai tempi dell’assedio, Alex Langer scriveva che “l’Europa nasce o muore a Sarajevo”. Oggi potremmo rispondere che l’Europa è nata, ma è nata male.

Hashim Thaçi insieme a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza dal 1º novembre 2014 al 30 novembre 2019

Tutto da vedere quindi se le Kosovo Specialist Chambers favoriranno la riconciliazione tra serbi e albanesi, promuovere il progresso e la stabilità della società civile kosovara ed avvicinare il Paese alla comunità internazionale, come è nelle intenzioni degli organi europei e kosovari che le hanno istituite, oppure se otterranno l’effetto opposto, infiammando quello scontro inter-etnico che nel paese balcanico è ancora lontano dall’essere superato, col rischio inoltre di innescare un possibile effetto destabilizzante sull’intera regione balcanica.

Ricordiamoci che la pubblicazione del Rapporto Marty, percepito dagli albanesi come un attacco ai loro diritti, fu una delle cause che portarono alla vittoria dei partiti politici affiliati all’Uçk nelle competizioni elettorali del 2011. Gli stessi leader politici protagonisti di questa vittoria elettorale sono oggi tra i principali inquisiti della neo istituita Corte di giustizia e non hanno mai perso occasione per denunciare l’attività delle Kosovo Specialist Chambers, come un palese tentativo dei serbi, appoggiati dagli eterni alleati russi, di detronizzare i “patrioti dell’Uçk”, legittimi vincitori delle elezioni, con accuse infamanti atte a ribaltare le responsabilità serbe nel conflitto col fine ultimo di mettere in discussione l’indipendenza del Paese.

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In altre parole, le Kosovo Specialist Chambers, più che una vera Corte di giustizia, sarebbero uno strumento politico, esterno alla democrazia del Paese, imposto attraverso i ricatti dell’Unione europea vertenti la mancata integrazione e riconoscimento del Kosovo da parte della comunità internazionale. Critiche feroci che hanno trovato fertile terreno in un tessuto sociale ancora insanguinato dalla ferite della guerra civile.

Troppo presto oggi per dire se le Kosovo Specialist Chambers porteranno giustizie o ulteriori divisioni. Tutto è nelle mani del Procuratore e dei giudici dell’Aja. Ma è innegabile che una prima vittoria questo nuovo tribunale l’ha ottenuta. Rassegnando le sue dimissioni ed accettando di presentarsi come semplice cittadino davanti alla Corte, lo stesso presidente, anzi, ex presidente, Hashim Thaçi, ha di fatto riconosciuto la legittimità a procedere delle Ksc.

Lasciamo la conclusione a Maria Stefania Cataleta, una dei quattro avvocati italiani ammessi al patrocinio innanzi alle Kosovo Specialist Chambers. Maria Stefania è anche l’unica donna nel gruppo dei patrocinatori che conta quasi 200 legali e sta per dare alle stampa un libro dedicato alla questione kosovara, The Kosovo Specialist Chambers, the last resort for justice in Kosovo?.

“Una cosa è certa – sottolinea l’avvocata specializzata nella difesa dei diritti umani – , questi procedimenti non hanno lo scopo di provocare un capovolgimento di una certa narrazione storica, poiché il processo penale, anche quello internazionale, si occupa di accertare responsabilità individuali per crimini specifici. L’unico obiettivo delle KSC deve essere quello di portare giustizia. È questo che ci si aspetta da questa corte ed è dall’accusa di questi crimini che l’ex presidente Thaçi dovrà difendersi da cittadino e non da politico”.


Profilo dell'autore

Riccardo Bottazzo
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.

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