Dal Chiapas all’Italia, resistenze “poco social” che si intersecano

Lo scorso gennaio vi abbiamo annunciato lo sbarco in Europa degli zapatisti. La Gira por la Vida y la esperanza – così gli zapatisti hanno chiamato l’iniziativa – ha portato in Europa 180 tra uomini e donne dell’Enzl più 14 delegati del Congreso Nacional Indígena (Cni), che rappresenta più di 40 popoli originari con le relative lingue. Come è andata la Gira? Passamontagna in testa, niente foto, niente nomi, niente alcolici: per espressa volontà degli zapatisti, la Gira è stata condotta nel massimo riserbo. Nessun manifesto per pubblicizzare gli incontri, nessun evento su Facebook. Il punto di Riccardo Bottazzo per i lettori di Frontiere.

Un veliero come mai nessun altro al mondo, quello salpato il 3 maggio scorso dalla penisola dello Yucatan. L’equipaggio portava il passamontagna nero dei combattenti dell’Eznl, l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional. L’obiettivo degli insurgentes messicani era quello di ripercorrere – ma geograficamente e simbolicamente al contrario! – la rotta di Cristoforo Colombo e di “invadere” l’Europa con quegli ideali che nel gennaio del 1994 hanno spinto le popolazioni indigene del Chiapas ad urlare “Ya basta!” (Adesso basta) ed a insorgere sotto la guida militare del subcomandante Marcos per chiedere al governo messicano giustizia e dignità.

Lo Squadrone 421 dell’Ejército Zapatista che ha attraversato l’oceano era costituito da sette combattenti: quattro donne, due uomini ed una persona transgender – da qui il numero 421 – oltre che da alcuni attivisti europei che si sono sobbarcati il non facile compito di insegnare ad andar per mare a questi indigeni che con tutta probabilità non avevano mai messo il naso fuori dell’inestricabile Selva Lacandona, cuore della rebeldia zapatista. Ma non è certo un po’ d’acqua salata o una semplice traversata oceanica che può spaventare gente come gli zapatisti che da 27 anni difende, giorno per giorno, l’autonomia dei loro caracoles da violenze e da ogni genere di provocazione orchestrate dal governo messicano, dai latifondisti e dai narcotrafficanti. E così, dopo 52 giorni di mare, la Montaña – come hanno chiamato l’arrugginito veliero che, lo avrete immaginato, era tutto fuorché uno yacht in stile Costa Smeralda – è riuscita ad arrivata incolume in Europa e a sbarcare nel porto di Vigo, in Galizia.

Ma lo Squadrone 421 era solo una avanguardia. Il grosso degli zapatisti è arrivato a settembre via aerea direttamente a Vienna, cuore della Vecchia Europa, superando una incredibile serie di difficoltà burocratiche per la concessioni di visti e di passaporti. In tutto, la Gira por la Vida y la esperanza – così gli zapatisti hanno chiamato l’iniziativa – ha portato in Europa 180 tra uomini e donne dell’Enzl più 14 delegati del Congreso Nacional Indígena (Cni). Il Cni è una organizzazione dei popoli originari del Messico che supporta le comunità indigene autogestite come, per l’appunto, quelle zapatiste del Chiapas. Al suo interno, vi sono rappresentati più di 40 popoli originari con le relative lingue.

Ad accogliere la delegazione di ribelli messicani, chiamata la “Estemporanea”, si è mobilitato tutto qual variegato arcipelago alternativo europeo che spazia dalle associazioni ambientaliste a quelle per i diritti umani e i migranti, dai centri sociali alle organizzazione sindacali di base. Tutte realtà, come ben sappiamo, spesso in forte conflitto tra di loro ma che – e questo lo possiamo ascrivere come il primo miracolo della Gira – hanno saputo fare fronte comune per accogliere degnamente gli ospiti d’oltre oceano.

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In questi due ultimi mesi, la Estemporanea ha girato in lungo e in largo per il vecchio Continente, “caminando e domandando” – come amano sottolineare gli zapatisti – sulle strade ribelli di Austria, Germania, Inghilterra, Irlanda, Polonia, Finlandia, Olanda, Slovenia, Ungheria, Austria, Inghilterra, Belgio e persino Lussemburgo. Da Digione, in Francia, la delegazione è arrivata in Italia passando la frontiera nel significativo giorno del 12 ottobre: la fatidica ricorrenza della scoperta… scusate, dell’inizio della conquista dell’America da parte degli invasori d’oltremare.

A Ventimiglia la carovana zapatista si è fermati per ascoltare le voci dei migranti diretti in Francia e le esperienze degli attivisti che li sostengono, quindi è entrata in Italia. Piemonte, Lombardia e poi Veneto, sono state le prime tappe della Gira nel nostro Paese. Qualche giorno fa, salutata Venezia, gli zapatisti sono scesi al sud e sabato si sono ritrovati a Roma per una conferenza stampa, l’unica concessa, per poi partire per la Spagna, prima di fare rotta di ritorno verso le umide foreste del Chiapas.

A far gli onori di casa del Veneto sono stati soprattutto i centri sociali del Nord Est, dove io li ho incontrati, ma anche associazioni come l’Anpi che li ha portati in barca ad esplorare i luoghi della Resistenza di Venezia.

Nessuna pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno, ma solo reciproco ascolto. Lo zapatismo non è una ideologia ma una esperienza. “Siamo venute a fare rete, a farci spiegare come voi resistete e come combattete il capitalismo. E siamo venute anche a raccontarvi le nostre esperienze di lotta, a narrarvi quanto accade nelle nostre terre e come ci sforziamo di costruire un processo di decolonizzazione, perché 529 anni di sfruttamento sono davvero troppi per i popoli originari dell’America”, mi ha spiegato la giovane Nisaguie Abril Flores Cruz, delegata del Cni di lingua zapoteca di Oaxaca, prima di illustrarmi la lotta per l’acqua del suo popolo contro i progetti delle multinazionali fossili europee avallati dal governo messicano. “Il capitalismo oramai fa quello che vuole in Messico come in Italia, al di là dei governi e delle leggi. Saccheggiano i beni di tutti per regalare profitto a pochi. Da noi rubano l’acqua, da voi devastano la vostra laguna con le grandi navi. Dobbiamo capire che quello che accade a noi, accade in tutto il pianeta”.

Con Nisaguie, l’anziano delegato Eliezer Zamora Pérez: “Io vivo nel Morelos. Noi indigeni siamo contadini, viviamo delle nostre terre. Ma queste nostre terre fanno gola a molti. Ora vogliono costruirci una centrale elettrica che non serve al popolo ma alle multinazionali del fossile che devastano il territorio. Ci hanno chiesto di vendere la terra e abbiamo detto di no. Poi hanno mandato i narcotrafficanti e abbiamo resistito. Ci sono state le elezioni. Il candidato di sinistra, Manuel López Obrador, è venuto a trovarci, ci ha sostenuto, ci ha fatto promesse. Se lui sarà presidente, ha giurato, difenderà il popolo dalle prepotenze delle multinazionali straniere. Poi, appena eletto, ha cambiato idea. Il progetto, ha detto, serve a tutto il Messico e ci ha mandato contro l’esercito con l’ordine di sgomberarci. Noi però continuiamo a resistere! E dove potremmo andare, come potremmo vivere lontani dalla nostra terra?”

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Ad accogliere Nisaguie ed Eliezer, era venuta tanta gente, giovedì, sera al Morion. Tanta gente, tante domande ma nessuno ha scattato una sola foto, nessun post nei social, nemmeno un selfie con gli ospiti da postare su Instagram! Né nelle pagine associative, né nei profili privati. Twitter, Facebook e compagnia bella, tutti muti. E questo è il secondo miracolo da imputare all’Estemporanea! Anche nei tavoli di chi assisteva agli incontri, solo bicchieri di acqua di rubinetto o, al massimo, di succhi di frutta. Birra, vino o spritz sono rimasti dietro i banchi del bar. Terzo miracolo della Gira, sopratutto nel Veneto. Nelle comunità zapatiste infatti, l’alcol è severamente vietato per una esplicita richiesta delle donne rivoluzionarie all’indomani del levantamiento del ’94. I latifondisti usavano – e usano tutt’ora! – pagare con super alcolici di bassissima qualità i loro lavoranti indigeni per indurre una schiavitù basata anche sulla dipendenza da questo veleno. Se viaggiate per il Chiapas, è facile distinguere un villaggio zapatista da uno governativo: nel primo i bambini sono vestiti e vanno a scuola, nel secondo i bambini girano mezzi nudi, chiedono la carità e le strade sono piene di uomini ubriachi e devastati dall’alcol. La Estemporanea ha chiesto che venissero rispettate nei loro incontri con le realtà europee le stesse regole che valgono per i caracoles: passamontagna in testa, paliacate alzato (utile anche come mascherina, in questi tempi di pandemia), niente foto, niente nomi, niente alcolici.

Per espressa volontà degli zapatisti, la Gira è stata condotta nel massimo riservo. Nessun manifesto per pubblicizzare gli incontri, nessun evento su Facebook, nessun “Mi piace”, pochissimi spazi sui vari siti. Le informazioni sui luoghi e sugli orari degli appuntamenti correvano solo sul passa parola delle attiviste e degli attivisti. E nemmeno comunicati stampa, articoli sui giornali e interviste video. Sono pochissimi i giornalisti ai quali è stato permesso di incontrare gli ospiti e, in ogni caso, solo i delegati del Cni erano autorizzati a rilasciare interviste ed a concedere qualche scatto. L’Eznl è pur sempre un esercito rivoluzionario che non ha firmato nessun accordo di pace col Messico. La guerra non è ancora finita. Anzi, proprio col governo di centro-sinistra il conflitto tra le autonomia indigene e lo Stato è salito di intensità. “Il non governo del Chiapas sta facendo tutto il possibile per destabilizzare la regione – leggiamo in un comunicato firmato dal subcomandante Galeano –. Reprime con estrema violenza le/gli studenti delle scuole rurali. Sabota gli accordi presi tra il magistero democratico e il governo federale. Le sue alleanze con il narcotraffico sta costringendo le comunità originarie a formare gruppi di autodifesa”.

Il Chiapas, in altre parole, è sull’orlo della guerra civile. Ed è anche per ribadire che la rebeldia zapatista non si fa intimorire e che non ha paura di rilanciare anche oltre i confini della Selva Lacandona quella che loro definiscono la lotta per la dignità e la vita, che sono venuti in quell’Europa dalla quale, 529 anni fa, salparono le navi di colui che gli europei hanno osannato come il Descubridor de Las Americas. Ma per per i popoli originari era solo l’inizio di una invasione e di un colonialismo culturale ed economico che non è ancora stato consegnato alla storia.

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In copertina: Eliezer Zamora Pérez e Nisaguie Abril Flores Cruz, delegati del Congreso Nacional Indígena (Cni). Foto di Riccardo Bottazzo

Profilo dell'autore

Riccardo Bottazzo
Giornalista professionista e veneziano doc. Quando non sono in giro per il mondo, mi trovate nella mia laguna a denunciare le sconsiderate politiche di “sviluppo” che la stanno trasformando in un braccio di mare aperto. Mi occupo soprattutto di battaglie per l’ambiente inteso come bene comune e di movimenti dal basso (che poi sono la stessa cosa). Ho lavorato nei Quotidiani dell’Espresso (Nuova Venezia e, in particolare, il Mattino di Padova). Ho fatto parte della redazione della rivista Carta e sono stato responsabile del supplemento Veneto del quotidiano Terra. Ho all’attivo alcuni libri come “Liberalaparola”, “Buongiorno Bosnia”, “Il porto dei destini sospesi”, “Caccia sporca”, “Il parco che verrà”. Ho anche curato e pubblicato alcuni ebook con reportage dal Brasile pre mondiale, dall’Iraq, dall’Algeria e dalla Tunisia dopo le rivoluzioni di Primavera, e dal Chiapas zapatista, dove ho accompagnato le brigate mediche e un bel po’ di carovane di Ya Basta. Ho anche pubblicato racconti e reportage in vari libri curati da altri come, ricordo solo, gli annuari della Fondazione Pace di Venezia, il Mio Mare e Ripartire di FrontiereNews.
Sono direttore di EcoMagazine, sito che si occupa di conflitti ambientali, e collaboro con Melting Pot, FrontiereNews, Global Project, Today, Desinformemonos, Young, Q Code Mag, il Manifesto e lo Straniero. Non riesco a stare fermo e ho sempre in progetto lunghi viaggi. Ho partecipato al Silk Road Race da Milano a Dushanbe, scrivendo reportage lungo la Via della seta e raccogliendo racconti e fotografia in un volume.
Non ho dimenticato la formazione scientifica che ho alle spalle e, quando ho tempo, vado a caccia di supposti fantasmi, case infestate o altri "mysteri" assieme agli amici del Cicap, con il quale collaboro per siti e riviste.

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