Le isole dei sogni impossibili

Molto spesso sono giochi che sfuggono di mano, alcune volte tentativi di rendere concrete le utopie (libertarie, pacifiste o egualitarie), altre volte approdi di uomini in fuga da demoni antichi che, non di rado, riescono a raggiungerli. Sta di fatto che quasi tutte le storie di isole conquistate terminano con una sconfitta, eroica o farsesca. Del resto, come scrive Riccardo Bottazzo, “l’isola è immersa dal mare e nel mare, prima o poi, tornerà a inabissarsi”.

Se leggete Frontiere News, non potete non conoscere Riccardo Bottazzo. Da quasi dieci anni, tramite queste pagine ci ha portato in Patagonia sulle orme di Chatwin, nel Chiapas con il subcomandante Marcos, così come in Burundi, in Islanda, a Srebrenica, in Tunisia, nel Kurdistan iracheno. Ma la lista è molto più lunga. E poi c’è Venezia, la sua Venezia, che se per alcuni narratori è un semplice museo a cielo aperto, per Bottazzo è un laboratorio di attivismo sociale e battaglie ambientaliste e contro le grandi speculazioni.

Se il “nostro” Bottazzo (perdonerete l’autoreferenzialità) ha raccontato vicende di popoli dimenticati e grandi movimenti sociali da tutto il mondo, è vero anche che il suo essere tremendamente veneziano gli ha impedito di abbandonare il “capoluogo veneto” (notate bene: lui non chiamerebbe mai in questo modo Venezia, anzi forse dopo questo articolo la nostra amicizia finirà!), i cui abitanti sanno che “l’acqua non divide ma unisce le isole”.

E questa unione marina è alla base di quello che lui ha fatto in Le isole dei sogni impossibili (Il Frangente, 2022), una raccolta ricchissima di storie di circa cinquanta isole, grandi e piccole, immaginarie e reali, abitate o abbandonate, che hanno come comune denominatore il tentativo umano di dominarle per crearci un nuovo mondo.

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Si parte da quella più famosa, l’Isola delle rose recentemente raccontata da Sidney Sibilia e diffusa su Netflix in pieno lockdown. Ma rispetto a quello rappresentato sullo schermo da Elio Germano, un guascone sognatore che sfida il sistema creando uno staterello in mezzo all’Adriatico, l’ingegner Rosa di Bottazzo, che l’autore ha conosciuto personalmente, è ben diverso: un anziano signore divorato dal rancore, con spiccate simpatie repubblichine e che “voleva avere qualcosa di suo”. Un po’ quello che l’inglese (con sangue irlandese) Matthew Dowdy Shiell fece con Nuestra Señora de la Redonda, una rocca così nominata da Colombo e che Shiell, essendo in parte discendente da re irlandesi, decise di annettere così che il figlio appena nato, Matthew Phipps Shiell, potesse un giorno diventare re di Redonda. Ma M.P. Shiell, come conosciamo il noto scrittore di fantascienza, si allontanò dal padre, rinunciò ai titoli nobiliari, probabilmente non visitò mai l’isola di Redonda e al sole dei Caraibi preferì lo smog che circondava i caffè letterari di Londra.

Le storie sono tante e così sapientemente assortite da Bottazzo che faremmo un torto a lui e ai lettori a nominarne alcune rispetto ad altre. Quel che c’è da fare è immergersi nelle vicende di truffatori, rivoluzionari, despoti egocentrici, imprenditori con il sogno del tax free, scienziati pazzi ma ecologisti e figli dei fiori.

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Ma ci sono anche isole inventate da serissimi giornalisti del Guardian come Pesce d’aprile che hanno mandato in tilt le agenzie di viaggi e Blue Frontiers, l’isola fluttuante a largo di Tahiti finanziata dal cofondatore di PayPal Peter Thiel dove tutto il commercio si baserà sulle criptovalute e dove non ci saranno ordinamenti politici. Altre isole ci fanno sorridere meno, sono quelle contese per le risorse o scenari di guerre terribili. Anche loro sono nel libro e l’eterogeneità delle storie fa pensare che raccoglierle non è un semplice esercizio di stile: nei sogni e nelle disgrazie di questi improvvisati isolani ci siamo davvero tutti, con i nostri pregiudizi, le nostre illusioni di poter soggiogare la natura e di potere abbandonare le guerre, le sopraffazioni e tutte le altre nostre ipocrisie creandoci un nuovo mondo, che sia su un’isola o su una realtà virtuale controllata da qualche multinazionale con sede nella Silicon Valley o a Pechino.

A questo pensavo mentre leggevo Le isole dei sogni impossibili qualche mese fa, seduto lungo la riva est della Isla Grande del Rosario, che al contrario di quello che può far pensare il nome è un piccolo isolotto della Colombia caraibica. Qualche giorno dopo, in un’isola a 15 minuti di navigazione, Barù, il procuratore anti-mafia paraguayano di origini italiane Marcelo Pecci veniva ucciso durante la sua luna di miele. Stava indagando su come corruzione e riciclaggio nel suo paese contribuissero al traffico di droga a livello internazionale.

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La vita interrotta del procuratore, freddato da sicari silenziosi sbarcati con degli scooter d’acqua, ci dimostra la fragilità dei nostri sogni. Del resto, come scrive Bottazzo, “sta a te decidere quando lasciare il tuo porto e percorrere la strada del mare. Chi nasce su un’isola, più di chiunque altro, sa che il viaggio è il suo destino, nel mondo come nella vita. Sopra una fragile barca o su degli ancor più fragili sogni”.


Profilo dell'autore

Joshua Evangelista
Joshua Evangelista
Responsabile e co-fondatore di Frontiere News. Scrive di minoranze e diritti umani su Middle East Eye, Espresso, Repubblica, Internazionale e altre testate nazionali e internazionali

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