Mostar, a venti anni dalla fine della guerra
di Stefano Pacini Mostar. Il ponte distrutto, la netta sensazione di essere tra occidente e oriente la prima sera che arrivammo e il canto del muezzin ci colse di sorpresa. L'aria sospesa, il rumore cupo, instancabile, secolare del fiume. Abitavamo in una casina bianca intatta anche se senza vetri ma teli di nylon alle finestre tra due case diroccate dalle cannonate, con vista su un minareto mozzato. Ci facevano da guida e traduttori due ragazzi folli di Dio, uno di Bergamo, l'altro di Lucca, che tra una visita e l'altra alle famiglie che avevamo adottato, vedove con figli piccoli, nonni…