La “Rivolta del cous-cous” in Algeria raccontata da Lazrak Benkadi

Oltre la semplice scintilla dell’aumento dei prezzi dei beni essenziali – pane, zucchero, e olio – c’è un grido più profondo che risuona dalle strade della Tunisia all’Algeria: una richiesta ardente di speranza e dignità, una lotta contro la corruzione e l’inefficienza che minacciano il diritto a un domani migliore. Attraverso gli occhi di Lazrak Benkadi, 37 anni, nato a Orano in Algeria, ci addentreremo nelle profondità di questa battaglia per il futuro, cercando di comprendere le vere radici di un dissenso che va oltre il semplice costo della vita.

La “rivolta del cous-cous” scoppiata in Tunisia il 5 gennaio scorso, nei giorni successivi si è poi allargata alla vicina Algeria. Pensi che continuerà a diffondersi in tutto il Maghreb?

Penso che tutte le regioni del nord Africa siano potenzialmente delle bombe sociali pronte a esplodere: l’inflazione aumenta ogni anno del 10%, mentre i salari rimangono fissi al 2005. In una condizione simile basta l’ennesimo incremento dei prezzi perché scoppi una rivolta. Ogni Paese, poi, ha i propri tempi e le proprie modalità di reazione.

Puoi chiarire quest’ultimo concetto?

La vera rivoluzione in questi giorni sta accadendo in Tunisia dove tutta la popolazione e persino i sindacati sono scesi nelle strade per protestare. In Algeria invece si sono mobilitati per lo più ragazzini tra i 15 e i 20 anni. Gli adulti ancora non si sono ancora fatti sentire, credo che stiano riflettendo sul da farsi.

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Il giorno seguente allo scoppio dei disordini in Algeria, il governo ha richiesto la riunione del Consiglio interministeriale per deliberare alcune misure contro l’impennata dei prezzi. Pensi che questa decisione della classe dirigente abbia influenzato la popolazione a desistere dal continuare la rivolta?

Sicuramente il governo ha preso questa decisione nel tentativo di tranquillizzare gli animi, nel timore che la rivolta assumesse i connotati di una guerra civile, come quella degli anni ’90. La gente, però, non ha fiducia nella propria classe dirigente e sa bene che il 40% di abbassamento dei prezzi di cui parlano i giornali, non corrisponde a realtà. Tutti sanno che l’informazione non è libera. Se la gente protesta è perché non ce la fa più a vivere nella miseria in un paese ricco come l’Algeria. Quest’ultima, a differenza della Tunisia che vive di solo turismo, può vantare la presenza di fruttuosi giacimenti di petrolio e di gas. I guadagni però finiscono esclusivamente nelle tasche della classe politica e dell’esercito.

Vista la diffusa sfiducia nella classe politica e il clima di rivolta di questi giorni, pensi che i movimenti islamici possano approfittare della situazione per acquisire consensi tra la folla?

Oltre che nella classe politica, la gente non ha più fiducia neanche nei movimenti islamici, inoltre questa rivolta non ha nessun carattere religioso. Le persone protestano perché non hanno possibilità di costruirsi un futuro: aumenta il numero dei laureati, ma manca l’impegno da parte del governo di creare posti di lavoro. Il problema, però, è che le persone non vedono alternative. Nessun partito, nessun movimento valido, perché la corruzione dilaga e rende tutto marcio. Il rischio è l’autodistruzione senza alternative.

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Mariangela Riontino


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