Macedonia tra europeismo e tradizione, multietnia e identità: viaggio tra le strade di Skopje

Ha speso 240 milioni di euro per sculture che gli varranno l’inimicizia perpetua della Grecia, eppure il suo popolo lo adora e l’Unione Europea si complimenta con lui per il rispetto dell’accordo sulla Stabilità concordato con l’UE. Nikola Gruevski ha un passato da boxer professionista e un atteggiamento sornione nel suo litigare con ogni paese, lontano e vicino, con cui la Macedonia possa avere a che fare: Grecia, Serbia, Albania in primis. Dice di volere la pace con Atene e al tempo stesso dedica qualsiasi nuova iniziativa ad Alessandro il Grande, della cui discendenza si vanta di appartenere, in un balcanico orgoglio a forza di dna. Nonostante questo, il partito nazionalista guidato da Gruevski – forse sull’onda della paura dell’islamizzazione – è riuscito a ritagliarsi un posto per sé nella Hall of Fame del piccolo stato balcanico, mettendo la sua firma sul progetto più ambizioso degli ultimi anni, Skopje 2014.

Statue, sculture, un museo dedicato all’Olocausto, una nuova chiesa (e una nuova polemica con la parte musulmana della popolazione) ma soprattutto una faccia più attraente per il centro di Skopje, questa l’idea del primo ministro, che intende così attrarre più investimenti esteri e preparasi all’Ue. Sforzo apprezzato da Bruxelles, che prospetta l’inizio – finalmente – degli incontri sull’accesso della Macedonia nell’Unione Europea, pur segnalando la continua opposizione di Atene all’entrata con il nome Macedonia. “L’unica soluzione con la Grecia” – sottolinea Frckosky, tra l’altro ex ministro della polizia all’epoca del tentativo di attentato all’ex presidente Gligorov – “Potrebbe essere scegliere un nome come Upper Macedonia o Northern Macedonia”, una localizzazione che sarebbe accettata dalla Grecia e che finalmente potrebbe porre fine a 20 anni di polemiche a fior di archeologia. Intanto però il governo di Gruesvky non rinuncia allo scontro simbolico con Atene tramite Skopje 2014, che prevede un’enorme statua di Alessandro il Grande proprio al centro di Skopje.

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“Gli investimenti non arrivano con le statue, ma con le strade” – si sfoga Burim, titolare di un ostello nel bazar, il quartiere a maggioranza albanese e musulmana di Skopje – “Le persone dei villaggi votano questo pazzo perché sono come lui: ignoranti e nazionalisti.” Nonostante la disoccupazione, che si aggira intorno al 31%, e i bassi salari, che di media toccano appena i 300 euro, i neanche 3 milioni di Macedoni potrebbero essere tra i prossimi a entrare nella Comunità Europea, dopo un’attesa durata quasi 20 anni. L’Ue da questa parti significa – dopo il recente ingresso nell’area vasta Schengen – investimenti diretti: strade, tunnel, trasporto più di ogni altra cosa.

“Gli unici che investono davvero da queste parti sono gli arabi, dal Qatar, dall’Arabia Saudita, pure il mio ostello si vorrebbero comprare” – spiega Burim, che abita di fronte alla Balkans University, fondata con soldi turchi. “Io sono di famiglia musulmana” – interviene suo fratello Fatoun, che lavora alla Tv di Stato – “ma vorrei una Macedonia libera dalle religioni, dai simboli etnici che non fanno altro che aggiungere tensione a tensione, controversie e manipolazioni di qualsiasi simbolo. Se l’Europa non si smuove ad accettarci va a finire che torniamo sotto la Turchia”.

A giugno intanto nuove elezioni in Macedonia, questo ha promesso il governo in accordo con il leader del partito socialista Branko Zervankovski, già primo ministro e presidente della Repubblica, accusato di corruzione e tangenti su appalti. “Zervankovski e i socialisti sono corrotti, ma almeno non buttano via milioni di euro in vane dimostrazioni di forza, sono meno ingenui” – spiega Pance, blogger e attivista locale – “L’importante però è far andare avanti l’economia, e allora ben venga Skopje 2014, i cantieri danno lavoro – anche se certamente fa un po’ ridere che ormai abbiamo più statue di Roma o Firenze”.

A causa del suo isolamento (in questo caso grazie ad esso) in Macedonia (come anche in Montenegro e altri paesi balcanici) l’insolvenza delle banche e la crisi del capitale non hanno fatto troppi danni alla magra economia locale. “Semplice, a noi i soldi semplicemente non li davano neanche prima” spiega Kiro Velkoski, programmatore informatico prestato al blogging politico e sociale, impegnato soprattutto nell’aspro dialogo con i greci sul nome Macedonia.

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“Siamo 1000 chilometri da Roma, 1000 chilometri da Vienna, 1000 chilometri da Atene.. ma noi cosa siamo? Avremo pur diritto di autodefinirci in quanto a identità?” Da 20 anni Kiro ogni anno va in Grecia con la sua famiglia, e cerca un dialogo con i vicini ellenici, rei, secondo lui, di ingerenza in un affare interno di un altro stato. “Non avremo mai la riunificazione con tutti i macedoni di Grecia – che loro chiamano slavo fonici invece che macedoni – avremo sempre l’influenza serba sulla chiesa ortodossa, l’etnia albanese continuerà a crescere e così pure gli interessi turchi, possibile che non possiamo neppure chiamarci con il nostro nome?”

Macedonia in albanese potrebbe essere tradotto con: “ciò che vuoi”. Insomma, se Alessandro il Grande fosse stato albanese (è il caso di non scartare nessuna ipotesi!) questo posto potrebbe davvero essergli piaciuto molto. Nonostante i terremoti – l’ultimo che ha distrutto Skopje è del 1963 – che probabilmente c’erano anche allora, la culla della cultura macedone è da sempre il tempio di ogni comprensione di questa parte d’Europa. Macedonia, un nome che dà il capogiro ai greci, convinti che solo in terra ellenica possa esistere un tale nome, non certo tra gli slavi del Sud dell’Ex Jugoslavia (che significa proprio “slavi del sud”). Da 20 anni, Skopje cerca di affermare il proprio diritto ad autodeterminarsi con il nome Macedonia e denuncia l’ingerenza greca che ancora blocca l’ingresso dell’ex provincia jugoslava nell’Ue e nella Nato. “Se 15 anni fa avevamo Holbrooke e diplomatici di prima categoria qui a Skopje” – dichiara sconsolato l’ex ministro e candidato alla presidenza Frckosky – “Ora ci ritroviamo più indietro di allora, e il corpo diplomatico è diventato di quinto livello. Fin quando non risolveremo il contenzioso sul nome” – aggiunge Ljubomir Frckovsky, che è anche tra i firmatari della Costituzione macedone – “La Macedonia continuerà ad affondare”.

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“Ciò che vuoi” vale anche per l’Unione Europea, che in questa situazione fa la parte dello zio ricco d’America, inviando fondi e buone intenzioni, senza però farsi vedere in prima persona. “Se l’Unione Europea non si sbriga a venirci incontro” – si lamenta Fatun – “Vorrà dire che verrà prima la Turchia. Io sono di etnia albanese, musulmano, ma guardo a Bruxelles, i miei valori sono europei, non l’Islam”. Nel bazar, il quartiere albanese di Skopje, è lo specchio di questa parte di mondo, tanto esplorata da organizzazioni nazionali, giornalisti e studiosi quanto inestricabile nelle sue divisioni etniche, linguistiche e a volte ideologiche. Un esempio di multiculturalità insomma, dove giovani talenti, nazionalisti e trafficanti di droga vivono gomito a gomito, a ridosso della Turchia da una parte e dell’Unione Europea dall’altra.

Francesco Conte


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