I dittatori mediorientali sparano ai ribelli con le armi europee. E italiane

di Maria Chiara Rizzo

Amnesty International punta il dito contro l’Occidente per aver venduto grandi quantità di armi ai governi dei Paesi della “primavera araba”. Questo è il tema oggetto del nuovo rapporto pubblicato dall’organizzazione, dal titolo “Trasferimenti di armi in Medio Oriente e Nord Africa: le lezioni per un efficace Trattato sul commercio di armi”, in cui viene denunciata l’esportazione di armi verso Egitto, Libia, Siria, Yemen e Bahrein a partire dal 2005. Secondo tale rapporto, Stati Uniti, Russia e alcuni Paesi membri dell’Unione Europea, per un totale di circa 20 governi, hanno venduto un’ingente quantità di armi ai governi repressivi del Medio Oriente e del Nord Africa, nonostante la consapevolezza del rischio relativo all’impiego di queste forniture per compiere violazioni dei diritti umani.

Insomma, il business che prevale sul rispetto dei diritti umani. Ma il rapporto denuncia anche l’inefficienza dei controlli sul traffico di armi, tirando in causa gli organi addetti alla vigilanza, e sottolinea la necessità di un Trattato sul commercio di tali forniture, ma che ponga allo stesso tempo come priorità la difesa dei diritti umani. Fonti ufficiali hanno reso noto che le Nazioni Unite si riuniranno nel luglio prossimo per mettere a punto i principi del trattato sul commercio di armi, che avrà l’ obiettivo di regolamentare il mercato globale della vendita di armi, scongiurando il rischio di violazione dei diritti umani e la minaccia alla stabilità.

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La principale ricercatrice di Amnesty International, Helen Hughes, sul commercio di armi spiega ai microfoni di Al Jazeera che il rapporto non è esaustivo, ma la scelta di concentrarlo sui cinque Stati Arabi è mirata a denunciare e ad evidenziare l’impiego delle armi fornite dall’Occidente nella feroce repressione delle proteste della “primavera araba”.

I ricercatori di Amnesty sostengono che nei cinque anni precedenti l’ondata di rivoluzioni Egitto, Libia, Siria, Yemen e Bahrein hanno ricevuto armi leggere, gas lacrimogeni, veicoli blindati e altri equipaggiamenti militari per un ammontare pari a 2.4 miliardi di dollari. Queste forniture sarebbero state dispensate da almeno venti Paesi tra cui Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia e Stati Uniti. Nello specifico il documento riporta alcuni dati dettagliati: gli Stati Uniti rappresentano il principale Paese fornitore di armi all’Egitto, esportando verso quest’ultimo equipaggiamenti militari del valore pari a 1.3 miliardi; dieci Paesi, tra cui Italia, Francia, Regno Unito e Germania hanno venduto armi al regime dispotico di Gheddafi dal 2005; la Russia, seguita da Francia e India, è il principale fornitore di veicoli blindati della Siria; undici Paesi, tra cui USA, Regno Unito e Turchia forniscono assistenza militare allo Yemen. Amnesty International denuncia il comportamento negligente della comunità internazionale che ha anteposto gli affari alla garanzia del rispetto della dignità, decidendo di non bloccare il trasferimento di armi verso lo Yemen, mentre il regime di Ali Abdullah Saleh continua a commettere brutalità. I Paesi dell’Occidente, in un certo senso, hanno avallato i governi che hanno reagito e quelli che continuano a reagire alle pacifiche manifestazioni delle popolazioni assetate di democrazia facendo ricorso alla violenza.

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Per Helen Hughes tutto dovrebbe essere rimesso al senso di responsabilità dei Paesi fornitori che dovrebbero valutare ogni singola proposta di trasferimento di armi e bloccarla nel caso in cui si palesano minacce che attenterebbero al rispetto dei diritti umani. Al dibattito condotto da Al Jazeera ha partecipato anche Alexandre Vautravers, professore di Relazioni Internazionali presso l’Università Webster di Ginevra ed editore della rivista Swiss Military Review, che ha evidenziato l’esistenza di legislazioni nazionali e internazionali atte a regolamentare il commercio di armi, ma anche le debolezze del sistema dovute a possibili escamotage. L’articolo 51 dello statuto delle Nazioni Unite obbliga anche i piccoli Stati non produttori a fornirsi di armi ed equipaggiamenti militari per garantire la protezione e la difesa dello stato, ha menzionato il Professore, riportando all’attenzione la legislazione che garantisce l’import di armi. Anche il controllo capillare del commercio di armi leggere si scontra con le difficoltà della pratica, sottolinea l’esperto. Secondo Vautravers, è insufficiente regolamentare a livello globale il traffico di armi, poiché il nocciolo del problema è l’uso che si fa delle forniture una volta arrivate a destinazione e la rimessa della questione alla coscienza e alla responsabilità dei Paesi fornitori è un principio pregno di valore, ma utopico sul risvolto pratico.


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