Usa, il paese dove rischi la galera per un tweet

Se si è un giovane indignato che organizza le proprie manifestazioni su Twitter si rischia la galera. Anche negli Stati Uniti. Le autorità americane non si limitano più a sfogliare faldoni di documenti per le loro indagini, ma setacciano i messaggi da 140 caratteri del noto social network.

In particolare, a finire nel mirino ancora una volta sono gli attivisti di Occupy Wall Street. La procura di New York ha infatti chiesto ai dirigenti di Twitter la documentazione sull’account di un manifestante arrestato. L’ufficio del procuratore distrettuale ha spedito a Twitter un mandato di comparizione per l’attività sul social network di Jeff Rea, 31 anni, arrestato lo scorso ottobre durante l’invasione degli indignati del ponte di Brooklyn, a Manhattan. La procura sta cercando di tracciare tutta l’attività su Twitter del giovane, da quando è iniziata la protesta di Occupy Wall Street lo scorso 15 settembre fino al 31 ottobre 2011. Rea non è l’unico ad essere stato preso di mira dal procuratore distrettuale. Secondo fonti di stampa, la procura ha chiesto a Twitter l’accesso ai dati di altre persone arrestate nel corso degli scontri con la polizia, sempre lo scorso anno.

Gli indignati hanno inevitabilmente replicato a colpi di tweet. Rea ha infatti subito pubblicato sul suo profilo l’email mandatagli dalla direzione di Twitter che lo informava che la procura aveva chiesto l’accesso ai suoi dati. «Sono stato un tantino sorpreso – ha commentato Jeff -. È interessante che in posti come l’Egitto i nostri leader plaudono all’uso di Twitter e altri social media per diffondere i loro movimenti e qui invece ricevo un mandato di comparizione per aver usato un social media», per esprimere quanto garantito negli Usa dal primo emendamento della Costituzione Usa: la libertà totale di espressione.

Non è ancora chiaro che tipo di prove la procura spera di ottenere dagli account di Twitter. Tuttavia, i legali di Occupy wall street spingono per far annullare il mandato di comparizione. Rea è uno dei circa duemila manifestanti del movimento nato per arginare gli abusi del capitalismo finanziario americano incriminati a Manhattan dall’inizio delle proteste. Sono quasi tutti accusati di reati minori, come quello di aver bloccato il traffico. «Un pretesto per farci fuori», sostengono molti di loro.


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