Le tribù deforestate del Paraguay

 

La foresta Chaco, una terra calda che raggiunge i 48 gradi in estate, chiamata dai paraguaiani il loro “inferno verde”, copre un’area grande quanto la Polonia. I cacciatori-raccoglitori ancora vivono in questi vasti labirinti di alberi quebracho. Una foresta  rimasta ostile all’uomo e alle sue imprese per secoli, dove abitano giaguari, lupi e sciami di insetti pericolosi , anche se la resistenza all’uomo sta volgendo al termine.

Enormi tratti della foresta Chaco sono stati rasi al suolo dagli allevatori di bestiame provenienti dal Brasile, i vicini del Paraguay, e dai Mennoniti, discendenti dei coloni che sono arrivati nel Paese quasi un secolo fa per lavorare come agricoltori e allevatori.  Secondo le analisi satellitari di Guyra, un gruppo ambientalista di Asunción, almeno 486.000 ettari di terreno del Chaco sono stati disboscati negli ultimi 2 anni.

“Gli allevatori hanno aperto la strade per le loro grandi mandrie di bovini eliminando, negli ultimi cinque anni circa il 10 per cento della foresta Chaco”, ha affermato Guyra, “ un dato che si riflette nell’impennata di esportazioni che hanno avuto le carni bovine”.

“Il Paraguay detiene già il triste primato di essere un campione di deforestazione” ha detto José Luis Casaccia, un procuratore ed ex ministro dell’Ambiente, riferendosi al disboscamento coatto, negli ultimi dieci anni, delle foreste atlantiche nel Paraguay orientale utilizzate per la costruzione di aziende agricole di semi di soia, che hanno cancellato il 90% delle foreste originali. “Se noi continuiamo con questa follia” ha detto Casaccia, “quasi tutte le foreste del Chaco potrebbero essere distrutte entro 30 anni”.

“L’assalto umano” ha già trasformato i piccoli insediamenti dei Mennoniti sulla frontiera Chaco, in città in espansione. I Mennoniti, nati in Europa nel sedicesimo secolo, hanno fondato dei villaggi in Paraguay nel 1920 come Neuland, Fredensfeld e Neu-Halbstadt. Incoraggiati da questa ritrovata prosperità, le comunità mennonite si sono diversificate “progredendo” nei costumi   a differenza degli insediamenti nel resto dell’ America Latina, come per esempio nella zona orientale boliviana dove molti Mennoniti ancora guidano trainati da cavalli e indossano abiti tradizionali.

Patrick Friesen, direttore delle comunicazioni per una cooperativa di Mennoniti a Filadeflia, ha detto che i prezzi degli immobili sono cresciuti di cinque volte negli ultimi anni. “Un appezzamento di terra in città costa più che nel centro di Asunción” ha detto Friesen, attribuendo in parte il boom alla crescente domanda globale di carne bovina.

La foresta si trova nella Grande pianura Chaco, diffusa in diversi paesi. Gli scienziati temono che l’espansione di allevamenti di bestiame possa spazzare via la possibilità di scoprire nuove specie animali. Il Chaco è ancora relativamente inesplorato. Nel 1970 sono stati scoperti qui le più grandi specie viventi di pecari e maiali. In alcune aree, i biologi hanno recentemente intravisto i “guanacos”, camelidi simili ai lama.

Più allarmante il fatto che questa “corsa alla terra” sta intensificando le sconvolgimento dei popoli indigeni che vivono nel Chaco, che si contano a migliaia e che da decenni sono alle prese con le incursioni dei missionari stranieri, l’influenza crescente dei Mennoniti e le lotte intestine tra le diverse tribù.

Un gruppo di cacciatori-raccoglitori, gli Ayoreo, vive ancora in uno stato di chiusura rispetto al resto della civiltà. Nel 2004, 17 “attivisti” Ayoreo, un sottogruppo che si definiscono i Totobiegosode, sono entrati per la prima volta in contatto con l’esterno. A Chaidi, un villaggio vicino Filadelfia, la tribù ha detto essere stata perseguitata per anni dai bulldozers che hanno invaso le loro terre. Gli Ayoreo chiamano i bulldozer, “eapajocacade”, che significa “nemici del mondo”.

“Stavano distruggendo le nostre foreste, creandoci grandi problemi per noi” ha detto uno dei Totobiegosode, Esoi Chiquenoi. Come risultato lui e gli altri del suo gruppo, che negli scatti fotografici del 2004 indossavano perizomi, sono stati costretti a cambiare il loro stile di vita. Alcune persone a Chaidi hanno parlato di parenti Totobiegosode che rimangono nella foresta e continuano a vivere secondo i costumi tradizionali, diventando così forse l’ultima tribù isolata nel Sud America al di fuori dell’Amazzonia. Il loro numero è stimato intorno alle 20 persone o più. Alcuni ricercatori ipotizzato che questa tribù riesce a rimanere nascosta proprio grazie al fatto che vivono in mezzo a vasti allevamenti di bestiame creati intorno a loro.

Un rapporto di marzo fatto dall’ Indigenous Paraguay Institute ha confermato la loro esistenza sulla terra controllata dal River Plate, una società brasiliana di allevamento, rilevando la presenza di impronte e o buschi scavati nel terreno per catturare le tartarughe, usate come cibo.

Non si può poi ignorare l’influenza economica del Brasile rappresentata da circa 300.000 Brasiguayos, così sono chiamati gli immigrati brasiliani che vivono in una condizione di relativa prosperità, che hanno giocato un ruolo importante nell’espansione dell’agricoltura industriale e nell’allevamento in Paraguay.

La crescita dei possidenti brasiliani ha già fatto ribollire la tensione. Tranquilo Favero, uno degli uomini più ricchi del Paraguay, allevatore e coltivatore di soia, ha fatto infuriare molti paraguiani quando ha detto in un commento pubblicato a Febbraio che i contadini senza terra dovevano essere trattati “come donne ribelli, che obbediscono solo quando sono percosse con un bastone”. Tranquilo Favero controlla 249.000 ettari nel Chaco, più tutti i possedimenti terrieri nel Paraguay orientale.

Altri allevatori brasiliani hanno confermato di aver allargato le proprie aziende nel Chaco in maniera aggressiva, contribuendo alla deforestazione delle terre.  Nelson Cintra, un allevatore dello stato brasiliano del Mato Grosso do Sul, ha detto che lui e suo fratello sono stati trai primi brasiliani che hanno “colonizzato” il Chaco, acquisendo 86.000 ettari nell’Alto Paraguay, vicino al confine con il Brasile, nel 1997.

“Gli ambientalisti si lamentano per la deforestazione, ma il mondo ha miliardi di bocche da sfamare” ha detto Cintra, sindaco di Porto Murtinho, una città al confine brasiliano. “Ora ci sono 1 milione di capi di bestiame in Alto Paraguay, mentre 15 anni fa ce ne erano solo 50.000” ha detto.

Nella periferia di Filadelfia, la trasformazione del Chaco da una vasta e natura selvaggia ad un bastione di allevamento, sembra oramai irreversibile. Circa 80 Ayoreo vivono nello squallore in un appezzamento sul lato della strada, dormendo dentro sacchi di plastica attaccati agli alberi come amache.

A volte gli allevatori si fermano con i loro pickups ai bordi delle strade per assumere gli Ayoreo in lavori pagati meno di 10 $ al giorno. Lavori per altro molto sporadici. Per la maggior parte dei giorni, l’Ayoreo sta appoggiato alla recinzione, sorseggiando tè a base di foglie di yerba maté, guardando i camion che trasportano il bestiame lì di una volta invece si aggiravano pecari.

“Non vivremo mai di nuovo nella foresta” ha detto Arturo Chiquenoi, 28 anni, che lavora occasionalmente come bracciante in un ranch. “Quella vita è finita”.


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