Diritto di cittadinanza, storia di una quasi legge

di Joshua Evangelista

Gianfranco Fini, Nichi Vendola, Susanna Camusso, Graziano Delrio e il ministro Andrea Riccardi: tutti d’accordo nel dire che l’attuale testo fondamentale per la Cittadinanza italiana, la legge 91 del 5 febbraio 1992, è obsoleta e non rispecchia la realtà della società italiana. Questo il succo della conferenza dell’Italia sono anch’io tenutasi questa mattina alla Camera dei deputati a seguito della consegna delle 200.000 firme  per le due proposte di legge stilate dal movimento. Ma a spiegare in  maniera efficace e concisa la difficoltà dell’essere considerati stranieri a casa propria, dopo esser nati e aver studiato in Italia, è stata Lamiaa, una dodicenne emiliana di origini marocchine, che ha raccontato con una lettera la frustrazione nel sentirsi dire “per essere straniera sei stata davvero brava”. Prendendosi una scrosciante standing ovation da tutta l’aula.

Ma se per il sindaco di Reggio Emilia Delrio l’Italia è pronta e lo ius soli è accettato dalla società, dal momento che è stato sottoscritto da 200.000 italiani, in realtà le difficoltà legislative sembrano in questo momento insormontabili. Solo ieri le agenzie raccontavano che il presidente Monti e il suo governo non avrebbero alterato lo stato attuale delle leggi attuali della cittadinanza (ricevendo il plauso del redivivo Gasparri) e oggi il ministro Riccardi nel suo intervento ha rimarcato la posizione del suo dicastero, quello ius culturae lontano dallo ius sanguinis avallato finora ma distante allo stesso tempo dallo ius soli. Insomma, per essere cittadini si deve aver fatto un percorso di studi in Italia. E a rincarare la dose è il sottosegretario all’Interno Ruperto, che ha sottolineato come la Costituzione (se ne facciano una ragione gli strenui difensori del testo) non prevede da nessuna parte il diritto alla cittadinanza, portando così l’elaborazione di una legge in una nebulosa aria grigia legata alla mera sensibilità dei parlamentari. Di fatti, ha continuato Ruberto, una legge sulla cittadinanza è prerogativa del parlamento. In altre parole, il governo tecnico se ne laverà le mani pur dicendo che le cose allo stato attuale non vanno.  Una cautela sui diritti civili rinforzata da una sentenza esplicita: “Non è possibile equiparare il concetto di cittadino a quello di persona”.

Ciò che rimane dell’incontro di oggi è la convinzione che la società civile sente il problema dell’arretratezza legislativa italiana sui diritti civili delle seconde generazioni. Una legislazione che dovrebbe farsi sì carico delle esperienze fallimentari del multiculturalismo all’inglese e del modello francese dell’assimilazione, come sottolineato da Fini, ma che ha la grande opportunità di creare una nuova via: un modello di società che abbia nell’incontro e nella condivisione delle diversità all’interno di una sfera di valori condivisi la sua base. Ma quali sono questi valori? Verrebbe da chiederlo al presidente Fini. Ad ogni modo, come hanno sottolineato gli interventi di Delrio e Camusso, questi valori sono stati ampiamente esplicitati dall’esperienza del sisma in Emilia, dove italiani e stranieri hanno condiviso insieme le trame di un destino comune.

A conferenza conclusa Fini sfugge ai cronisti, forse timoroso delle inevitabili domande sulla legge che porta il suo nome e quello di Bossi. Vendola invece racconta ai giornalisti di essere inorridito all’idea di uno stato che prosegua per la via dello ius sanguinis. Quel che è certo è che, almeno fino all’anno prossimo, l’argomento cittadinanza per gli italiani nati da genitori stranieri troverà spazio solo nelle conferenze.


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