“Milano zingaropoli con Pisapia”, la sentenza condanna Pdl e Lega

Durante la campagna elettorale dell’anno scorso Berlusconi disse che Milano sarebbe diventata una “zingaropoli” o “una città islamica” se avesse vinto Pisapia; subito la Lega seguì a ruota il Cavaliere affiggendo ovunque manifesti che lanciavano lo stesso messaggio. Accusati di aver lanciato una campagna razzista e discriminatoria, i due partiti si difesero dicendo che si trattava soltanto di una battaglia politica. Sul Corriere di oggi Gian Antonio Stella racconta l’epilogo della causa in questione:

Il verdetto li condanna: si trattava di messaggi in contrasto con le leggi contro il razzismo. Certo, la sentenza precisa che le parole del Cavaliere, in quanto parlamentare e presidente del Consiglio, non potevano essere censurate. Ovvio: senza i procedimenti di rito, c’è l’immunità parlamentare. E vale lo stesso per Umberto Bossi, che in quella campagna elettorale si spinse a dire «se vince Pisapia Milano diventerà una zingaropoli». Ma i manifesti affissi sui muri milanesi, però, non godevano di questa guarentigia. E neppure il sito web del Pdl che riprese e pubblicò l’invettiva di Berlusconi”.

Ed è proprio contro quelli che l’associazione per i diritti civili delle minoranze «Naga», evitando conflitti col Parlamento che sarebbero andati (come sempre) a vuoto, presentò una denuncia per discriminazione razziale. Lo scontro, in realtà, avrebbe potuto chiudersi senza un verdetto: bastava cheMatteo Salvini per la Lega e Carlo Masseroli per il Pdl leggessero in Consiglio comunale una dichiarazione concordata ammettendo di avere esagerato nella polemica elettorale e riconoscendo «il valore sociale ed etico» del rapporto del Commissario europeo Thomas Hammarberg «nei passaggi in cui, a seguito della visita in Italia », aveva «evidenziato nella propria relazione, con riferimento alle ultime elezioni comunali milanesi, di essere rimasto scioccato dalla presenza di manifesti sui muri e sui veicoli che segnalavano il rischio che la città potesse trasformarsi in una zingaropoli».

Tanto più che secondo lui «questi tipi di messaggi incidono direttamente sui diritti dei Rom e Sinti, nonché sulla loro integrazione ». Il leghista e il berlusconiano, raggiunta l’intesa, avevano però letto le parole concordate stravolgendole con incisi e risatine e sottintesi tali, secondo gli anti-razzisti e anche secondo il giudice, da svuotare il loro significato. Al punto che l’avvocato Pietro Massarotto, presidente del Naga, ha chiesto che il processo andasse avanti. Fino alla storica sentenza di condanna.

Emerge con chiarezza la valenza gravemente offensiva e umiliante di tale espressione («zingaropoli ») che ha l’effetto non solo di violare la dignità dei gruppi etnici sinti e rom,ma altresì di favorire un clima intimidatorio e ostile nei loro confronti». Era «solo» battaglia politica? No.


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