Gli operai Alcoa occupano il porto di Cagliari: stabilimento verso la chiusura

Hanno occupato per circa tre ore gli ingressi dei moli Sant’Agostino e Dogana del porto di Cagliari, al grido di “Lavoro subito!”, per poi bloccare – anche tuffandosi in acqua – i traghetti in partenza e in attracco. I 300 dipendenti Alcoa dello stabilimento di Portovesme tornano a far sentire la propria voce nei giorni di maggior afflusso turistico in Sardegna perchè non scenda il silenzio sulla imminente chiusura dello stabilimento sardo. È fissata per il 3 settembre prossimo, la chiusura delle celle dello stabilimento di Portovesme, a meno che un nuovo acquirente – a seguito dell’annuncio di tre settimane fa del ritiro da parte del fondo Aurelius dalle trattative – non rilevi la fabbrica. Una chiusura alla quale gli operai dell’Alcoa si oppongono trovando il sostegno di Fim Cisl che “ribadisce la necessità che la vertenza Alcoa venga seguita al massimo livello istituzionale fin dall’incontro previsto per il 5 settembre, che chiediamo, venga spostato dal ministero dello Sviluppo economico, alla presidenza del Consiglio. Chiediamo inoltre ad Alcoa ulteriore tempo per ritardare l’avvio dello spegnimento delle celle” e delle istituzioni del Sulcis Iglesiente, sia a livello comunale che provinciale, che si sono autoconvocati per le prossime sedute consiliari proprio davanti ai cancelli dell’Alcoa devolvendo i gettoni di presenza e i rimborsi a supporto delle iniziative dei lavoratori. Attimi di tensione durante l’azione dimostrativa tra forze dell’ordine e manifestanti che sono culminati, secondo quanto si apprende, nel ferimento del segretario regionale Fim Cisl, Rino Barca. Sostegno da parte dei passeggeri dei traghetti e dei turisti che hanno a più riprese applaudito gli operai dell’Alcoa. “L’impianto di Portovesme è quasi a piena capacità” dichiarava a gennaio a Il Sole 24 Ore Alessandro Profili, direttore di Alcoa per gli affari europei. “Non è un problema di produttività. La ragione ha aggiunto – della chiusura sta nei costi». i: «Nella prima parte del 2011 il prezzo di mercato dell’alluminio era di 2.600 dollari a tonnellata, a fronte di un costo medio di produzione sostenuto in Italia di 2.480 dollari. Eravamo sul filo. Nell’estate scorsa la quotazione di mercato è scesa a 2mila dollari. A quel punto Portovesme è diventato insostenibile». Una questione di costi quindi dietro la decisione dell’azienda americana di chiudere lo stabilimento prima della fine del 2012 come invece si era impegnata a fare. “Perché i tempi italiani sono incomprensibili per la mentalità americana. La procedura di mobilità – continua Profili – diventa effettiva in 75 giorni. Se avessimo accettato la richiesta di un primo rinvio del Governo, avremmo sforato i 90 giorni. Una lungaggine eccessiva per il nostro quartier generale in Pennsylvania”. Riguardo alle ricadute occupazionali e alla sorte degli oltre 500 dipendenti, l’obiettivo dell’Alcoa è “chiudere l’impianto in maniera ordinata. Se succederà questo, avremo le risorse per integrare con altri soldi quanto spetta per legge ai dipendenti messi in mobilità. O per pensare a percorsi di formazione che possano rendere più facile il reinserimento dei lavoratori in un altro ciclo produttivo”.

di Valentina Ersilia Matrascià


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