testo e foto di Stefano Romano
Vi abbiamo raccontato sotto Natale la storia di Maryam, la giovane rom di 21 anni che vive con il marito Ionut e i due piccoli figli in un casale occupato alle porte di Roma. Provengono da Calarasi, in Romania, e vivono da quasi due anni in questo casale insieme ad altre famiglie rom, dopo che il loro campo è stato sgombrato. Quelle fotografie e la sua storia hanno colpito molte persone, perché raccontavano una storia diversa di famiglia rom. Ma poi chi può dirlo che è diversa? Loro sono semplicemente se stessi, nella loro gentilezza e dignità. Non è colpa loro se lo stereotipo della famiglia rom è di tutt’altro carattere in Italia.
UN ARTICOLO CHE HA GENERATO SOLIDARIETA’. Dopo aver visto le loro fotografie e letto l’articolo, una giovane madre indonesiana, Nenti Sandan, mossa a tenerezza ha deciso di donare alla famiglia di Maryam i vestiti piccoli di suo figlio ormai cresciuto. Mentre una mediatrice culturale romena, Adriana Jugaru, che è responsabile di un asilo vicino al casale dove vive Ionut, ha voluto conoscerli di persona per convincerli a mandare i figli piccoli a scuola. Il suo non è un asilo come tutti gli altri: è un Centro Interculturale per minori, “Shishu Bhavan”, che significa “La casa del Bambino” in lingua bangla, ispirata ad una casa fondata a Calcutta da Madre Teresa, che ha preso vita nel 2001, all’interno di un progetto culturale dell’Associazione Onlus chiamata ‘Zero in Condotta’, istituita nel Febbraio del 1999. È una scuola dell’infanzia; ospita bambini dai due ai sei anni. L’utenza della scuola è per la maggior parte di famiglia straniere, ma anche di famiglie italiane o a coppia mista. Una presenza massiccia è data da famiglie appena ricongiunte.
A SCUOLA! Ieri sono andato da Maryam a portarle i vestitini donati da Nenti Sandan; è stata molto felice perché erano perfetti per andare subito a vedere la scuola. Fatte indossare due felpe nuove ai bambini, tutti insieme abbiamo raggiunto Adriana che ci attendeva. Ionut era emozionato, si lamentava continuamente, lungo il tragitto, che non aveva tagliato la barba e aveva le mani sporche perché aveva costruito stufe tutto il pomeriggio. Seduti intorno ad un tavolo i genitori hanno parlato a lungo con le responsabili, mentre i bambini giocavano tra costruzioni e pennelli. Ionut ha confessato, ad occhi bassi, che lui e la moglie non hanno potuto studiare in Romania, perciò sarebbe felice che i propri figli potessero avere un futuro diverso, una cultura. Alla fine la scuola ha regalato a Nico il suo primo zainetto, ed è pronto ad iniziare la sua carriera scolastica, fatta di lettere e disegni; per ora.
L’AMORE MUOVE IL MONDO. Quello che ci piace sottolineare qui, in questa storia semplice, è la rete di solidarietà che si è stretta intorno a questa famiglia solo attraverso delle fotografie. Il senso della fotografia sociale dovrebbe essere sempre quello di raccontare a chi non può vederle, delle realtà sociali, appunto. Mostrare che spesso le cose sono differenti da come ce le raccontano. Che le famiglie rom sono composte da persone come noi, con uguale dignità e sentimento, non sono monoliti scuri di nefandezze e cattiverie (come mi raccontava Maryam: “Quando salgo sugli autobus tutti gli italiani si allontanano da me, stringendo le loro borse e guardando con pietà i miei figli e con ostilità a me, come se fossi la madre peggiore del mondo, senza conoscermi; questo è un dolore che porto sempre dentro di me”). E che noi siamo migliori di quanto crediamo, che la solidarietà non ci abbandona mai se siamo in grado di commuoverci, anche davanti una fotografia. Allora quella fotografia non è più una semplice foto, ma una chiave, che apre mondi e possibilità di amore. Come è successo ad Adriana e Nenti, che ringrazio con tutto il cuore. Perché grazie a loro, un articolo con delle fotografie è diventato un futuro migliore per un bambino. L’amore muove il mondo.
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[…] Questo articolo è uscito su Internazionale. (Fonte immagine) […]