A distanza di un anno si torna a parlare dei migranti della Piana di Gioia Tauro. Ma questa volta le notizie non sembrano essere positive. Li avevamo lasciati in un campo pressappoco confortevole con 280 posti, dotato di stufe, tv, bagni, illuminazione, raccolta rifiuti, mensa con cucina, presidio medico.
Il materiale era giunto dal Viminale su sollecitazione del ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi. La Regione Calabria gestiva economicamente (con 55 mila euro a disposizione) la tendopoli, la Provincia pagava la corrente elettrica, i sindaci di Rosarno (Elisabetta Tripodi) e San Ferdinando (Domenico Madafferi) garantivano condizioni umane dignitose e le Associazioni di volontariato offrivano supporto assistenziale oltre a procurare cibo e vestiti.
E seppur lo stato di emergenza non potesse essere dichiarato esaurito – il problema si risolveva solo per un terzo (400 posti letto disponibili su 1200 presenze) – si tirava un sospiro di sollievo.
Ma se è vero che l’esperienza insegna qualcosa, è anche vero che non si grida al miracolo prima della completa guarigione. Ecco infatti che 12 mesi dopo la Piana di Gioia Tauro torna ad essere terreno di beghe giuridiche, richieste disattese, speranze perdute.
Lo scorso giugno la Regione Calabria “chiude cassa” con conseguente abbandono della tendopoli alla gestione arbitraria di chi la abita. Più volte l’appello dei sindaci al governo e agli enti locali: “si teme il peggio con l’arrivo della stagione autunnale, durante la quale partirà la raccolta degli agrumi“.
Ma alle insistenti richieste di aiuto, risponde solo la presidenza della Repubblica inviando al sud una fornitura di coperte. Come se questo potesse bastare ad aiutare un territorio già martoriato da ‘ndrangheta, disoccupazione e latitanza politica.
Col passare del tempo la situazione è diventata ingestibile: scarichi fognari inesistenti, bagni inservibili, ambienti angusti trasformati in dormitori nauseabondi. Di acqua ed elettricità nessuna traccia.
Tre anni dopo la clamorosa rivolta di Rosarno, tutto torna ad essere come prima. Oltre mille braccianti lavorano a ritmi serrati per poco più di 20 euro al giorno vivendo in condizioni estreme. E mentre si attende l’arrivo di una nuova primavera – stagione in cui la manovalanza partirà alla volta di altri raccolti – Domenico Madafferi, sindaco di San Ferdinando, scrive al Prefetto informandolo della decisione di sgombero.
Atto necessario, ma sicuramente non risolutivo.
Teodora Malavenda
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