Sebbene il nome evochi un insieme di ingredienti mescolati tra di loro, non parliamo di cibo ma di un giornale. Si chiama Shaker ed è il primo freepress romano redatto dai senza tetto.
Il progetto, nato nel 2006 grazie al sostegno della Fondazione Vodafone e di altri finanziatori pubblici e privati, si è evoluto nel tempo. E così quello che inizialmente era un foglio pubblicato senza una scadenza fissa, è diventato un magazine con cadenza trimestrale. La redazione col tempo è cresciuta – sono circa venti i collaboratori- e da poco più di un mese, a supporto del cartaceo, c’è un sito internet e una web tv diretta da Paolo Sulpasso.
La sede del periodico è al Binario 95 di via Marsala. Un ambiente accogliente a pochi metri dalla Stazione Termini che funge ancor prima che da ufficio, da casa per chi non dispone più di un’abitazione.
Un binario immaginario da cui partono speranze, desideri, curiosità e domande e a cui arrivano storie che altrimenti rischierebbero di essere soffocate da un’informazione fin troppo frenetica.
Al primo piano troviamo la cucina, la zona soggiorno, le toilette con la lavanderia (è possibile farsi la doccia tre volte a settimana) e dieci posti letto assegnati dalla sala operativa sociale del Comune di Roma.
Al secondo piano invece c’è il cuore operativo del giornale con le postazioni dei tre redattori principali (Massimo Consalvi, Daniele Lucaroni e Renato Berardi). È qui che si pianificano i pezzi del numero successivo: temi sociali in primis ma anche pittura, cinema e musica. Ed è qui che si scrivono e si impaginano gli articoli.
Shaker è molto più di un progetto. Il segnale di un cambiamento: la necessità di un’informazione che parta dal basso e che racconti il punto di vista di chi subisce attivamente le conseguenze delle crisi.
Teodora Malavenda
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