Storia di un progetto di volontariato diventato simbolo della lotta per la difesa della dignità degli afghani a Roma. Di Lorena di Lorenzo
Ulisse è il viaggiatore per antonomasia, sempre pronto a ripartire ma con l’unico obiettivo di tornare nella natia terra di Itaca. Per Omero, infatti, la conclusione naturale di ogni viaggio è il ritorno. Per gli afghani non è così: il viaggio è un’eterna fuga, un’infinita e pericolosa Odissea senza lieto fine. E allora partire diventa fuggire dalla propria terra e dalla propria famiglia, abbandonare casa e lavoro, ritrovarsi per la prima volta veramente soli.
Questo è quello che provano i circa 2,6 milioni di rifugiati afghani nel mondo. Provengono da un Paese con 29 milioni di abitanti stremati da più di 30 anni di conflitti. Per molti di loro partire è l’unica possibilità, la differenza tra la vita e la morte. Aggrappati sotto a un tir, chiusi in camion refrigerati o stipati per giorni subarconi fatiscenti alla mercé di uomini senza scrupoli: per continuare a vivere guardano in faccia la morte e molti purtroppo non ce la fanno. Iran, Turchia, Grecia, Italia: queste le tappe per arrivare alle porte dell’Europa con la speranza di ricominciare.
Ogni anno nella sola stazione Ostiense di Roma ne arrivano circa duemila, stremati e senza risorse. Molti sono minori non accompagnati e si fermano solamente il tempo necessario per organizzare la ripartenza verso il nord Europa, dove i rifugiati hanno maggiori tutele. La loro paura più grande è quella di essere identificati e costretti a rimanere in Italia sulla base del Regolamento di Dublino II, che assegna la domanda di asilo politico al primo Paese europeo che ne accerta l’identità. È quello che è successo a Sohrab, che nel 2011 è stato identificato nel nostro Paese come minore. Ha ugualmente deciso di proseguire il suo viaggio verso la Svezia dove ha vissuto per un anno e mezzo iniziando un percorso di integrazione interrotto bruscamente la scorsa estate. Le autorità svedesi hanno deciso di rimandarlo a Roma a causa delle impronte rilevate dalla polizia lo scorso anno. Ora è maggiorenne e il futuro che gli è stato imposto dalla burocrazia europea ha schiacciato le sue speranze.
La paura di essere identificati in un Paese diverso da quello desiderato costringe questi ragazzi a vivere come fantasmi, senza usufruire dei servizi a cui avrebbero comunque diritto: visite mediche, un posto sicuro in cui dormire, assistenza legale. La strada, con tutte le sue insidie, diventa la loro casa e la vita scivola via nell’indifferenza della città. Fortunatamente lo scorso anno a Roma sono stati inaugurati due centri notturni che garantiscono l’anonimato ai richiedenti asilo in transito.
L’obiettivo è quello di fornire a chi è diretto verso il nord Europa un posto sicuro in cui dormire in attesa di ripartire. Perché, se ci consideriamo un Paese civile, dobbiamo garantire a questi ragazzi la possibilità di vivere dignitosamente anche il poco tempo che passano in Italia.
Questo è l’approccio con cui lavora l’Associazione di volontariato che rappresento, Binario 15. La nostra mission è quella di tutelare i diritti dei migranti, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili come minori, rifugiati e richiedenti asilo politico. Nata nell’aprile 2011, Binario 15 è composta da un’equipe multidisciplinare che comprende mediatori interculturali, ricercatrici e operatrici sociali di diverse nazionalità che hanno l’obiettivo comune di promuovere lo scambio culturale e l’integrazione. Il nome nasce dal binario della stazione Ostiense che per anni è stato utilizzato come rifugio dagli afghani.
Continua la lettura di questa, come di tante altre storie di “ripartenze”, su Ripartire, il libro di Frontiere News in collaborazione con Amnesty disponibile su carta (5 euro) e in formato elettronico (2 euro). Ordina la tua copia, contribuirai alla difesa dei diritti umani nel mondo.
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