La mia anima gemella mi aspettava all’uscio della moschea – puntata 3

“Quando tornai a casa, abbracciai forte mia madre, ed ero riluttante a togliermi da quell’abbraccio. Ero come un soldato che ha perso sul campo di battaglia, ferito a morte, che torna a casa ancora vivo mentre i suoi genitori sono sopraffatti dal dolore”. Di Jemy Haryanto (leggi la seconda puntata)

UNA BUONA NOTIZIA. Giorno dopo giorno andavo avanti con cuore turbato. Come un aquilone dalla corda spezzata, che viene trasportato dal vento. Di qua andava bene. Di là anche. Ma per fortuna riuscivo a trattenere i desideri che sorgevano in me, in modo da non cadere in comportamenti negativi.

Al contrario, iniziai a trascorrere sempre più tempo in moschea, discutendo con i miei compagni, pregando insieme. E da quel momento decisi che non avrei più cercato una compagna di vita.

Fino a quel giorno, precisamente due anni dopo. Ibrahim, un mio amico della gioventù della moschea, venne a casa mia.

“Assalamu’alaikum.”

“Alaikum salam,” risposi, mentre aprivo la porta.

“Ehi, Ib. Entra, entra.”

Dopo essermi seduto su una precaria sedia di vimini, eredità di mio padre, subito chiesi il motivo e lo scopo della sua visita.

“Sono qui per portarti una buona notizia,” rispose Ibrahim, con viso allegro.

“Una buona notizia? Che cos’è?” Chiesi, incuriosito.

“Guarda, nel posto dove lavoro, hanno bisogno di un altro dipendente. Ho subito pensato a te, ecco perché sono qui.”

Fu come cadere dalle nuvole, ero molto felice di sentire quella notizia. “Dimmi, dimmi.”

“Beh, lo sai da te. Il nome ‘Politecnico’ dell’università è solo un nome, ma il nostro lavoro è quello di pulire l’officina dove fanno pratica i ragazzi d’ingegneria meccanica. Allora, com’è, lo faresti o no? Se vuoi, questo pomeriggio vado a dirlo direttamente al capo. Se ti va bene, domani potrai lavorare.”

“Fantastico, Ib,” risposi con entusiasmo.

“Bene allora”, mi disse, facendo per andarsene.

“Oh, sì,” Ibrahim si fermò un attimo.

“Non è che questo interferirà con le tue attività? Perché ho sentito dire che stai iniziando a fare il fotografo ai matrimoni.”

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“Se Dio vuole, posso gestirmi. Grazie, Ib.” Lui alzò il pollice. Poi mi salutò, quell’uomo piuttosto minuto si allontanò in fretta, lasciandomi piuttosto felice.

Non smetterò mai di essere grato della grande grazia che ricevetti dal Signore. Perché onestamente, avevo davvero bisogno di molti soldi per i mesi a venire. Mio fratello Rafli di lì a poco avrebbe affrontato gli esami. Dopo l’esame, sarebbe andato alle medie. Se tutto quanto non fosse stato pronto da subito, avevo paura che non avrebbe potuto frequentare la scuola, e sarebbe stato il mio più grande fallimento, perché non sarei riuscito a tener fede al messaggio di mio padre.

MOSCHEA SECONDA CASA. I giorni passavano. Senza alcun sentimento di vergogna, né di orgoglio, svolgevo la mia professione di cleaning service con gioia.  Anche se era stancante, soprattutto in termini di tempistiche. Dal lunedì al venerdì, dalla mattina alla sera, dovevo stare in officina, pulire le macchine e le stanze, e predisporre una serie di attrezzature dopo la pratica. Mentre il sabato e la domenica lavoravo come fotografo per cerimonie nuziali. Sebbene fossi così occupato, tanto da vedere raramente il volto di mia madre, cercavo sempre di impegnarmi a pregare diligentemente cinque volte al giorno.

Non c’era da stupirsi se la moschea era diventato il mio secondo luogo in cui vivere dopo casa mia. Ci stavo dopo la preghiera in congregazione, o di solito mi fermavo a leggere dei libri, alle volte accadeva di fare piccole discussioni con gli studenti. E se incontravo qualche docente, non si vergognavano a pranzare con me in mensa. Uno di loro era il signor Deni, che spesso mi si avvicinava.

“Allora, com’è lavorare qui?” Mi chiese il signor Deni con serenità.

“Grazie a Dio, signore. Sono felice di questo lavoro. Grazie.”

Deni sorrise. “E che cosa ti rende felice?”

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“Mia madre e mio fratello, signore.”

Annuì lentamente, “mmm.”

Io continuai… “Inoltre, in passato.., sognavo di poter continuare la mia formazione qui. Ogni volta che mio padre mi chiedeva che cosa volessi fare dopo il diploma, sì, io rispondevo sempre ‘Il Politecnico’. Ma beh, papà se n’è andato presto.”

DENI, UN SEMPLICE DATORE DI LAVORO? Il signor Deni sorrise di nuovo. Inaspettatamente mi dette una pacca sulla spalla, poi dovette andarsene di fretta. Quella fu la prima volta che mi confidai con Deni. Dopo quell’occasione, non successe più. Tuttavia quando si stava per avvicinare l’Eid Al-Fitr, d’un tratto quell’uomo tarchiato mi chiamò nel suo ufficio tramite Ibrahim.

“Davvero, Ib?” chiesi a Ibrahim.

“Davvero. Ma non ho idea di cosa voglia dirti. Di sicuro, il viso del signor Deni non è come sempre, pare preoccupato.”

“Uccidetemi!” dissi, tenendomi la fronte. Quella chiamata improvvisa aveva veramente sollevato preoccupazioni nel mio cuore. C’erano solo due possibilità che si affollavano nella mia mente, se non mi avesse urlato, mi avrebbe licenziato.

Bussai alla porta del suo ufficio con molta cautela. Dopo aver ricevuto una risposta dall’interno, aprii la porta lentamente.

“Siediti, su!” mi disse quell’uomo con gli occhiali, con voce profonda.

“S…sì, signore.”

In quella stanza il mio cuore cessò di battere. Potei solamente abbassare il capo, non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, nemmeno per un momento. Ibrahim aveva ragione, il signor Deni sembrava stregato.

“Allora, c’è qualcosa che non va? Sembri teso. Rilassati, su.”

Sentendo quelle parole, percepii subito la presenza del signor Deni vicino a me, come quel giorno in cui m’aveva parlato, tempo addietro. E la tensione che mi era salita all’inizio, pian piano cominciò a scemare, di lì a poco ero tornato alla normalità.

“Ho soltanto paura di essere licenziato, signore,” dissi, innocentemente.

Scoppiò a ridere, ma mantenne un contegno. “Chi è che ti vuole licenziare? Dai, dimmi chi te l’ha detto.”

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“N…no, signore. È…è solo una mia impressione,” risposi, un po’ in imbarazzo.

“Dei ragazzi mi hanno detto che Lei sembrava non essere come al solito. Per quello ho pensato.”

“Ok, ok,” mi interruppe.

“Il fatto è che non ho ancora dormito. Avevo tante correzioni per gli studenti da fare.”

Non potei trattenere il mio sollievo, di lì a un momento ridevo divertito tra me e me, ridevo di me stesso. La ragione per cui il signor Deni mi aveva chiamato non era altro che per chiedermi di dipingere casa sua. E con gioia io accettai la proposta.

Dopo un anno di lavoro presso l’officina, aiutavo spesso il signor Deni, ed anche i suoi amici, il nostro rapporto si era fatto più stretto. Ma era soltanto un rapporto di lavoro, fra datore di lavoro e dipendente, nulla più. Finché un giorno, dopo la preghiera di mezzogiorno in moschea, proprio mentre me ne stavo andando di fretta, improvvisamente Deni mi chiamò e mi chiese di sedermi accanto a lui.

TRA UNA SETTIMANA LA QUARTA PUNTATA!


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