Dall’Iraq alla Grecia, la via nonviolenta dei peacemaker cristiani

di Ilaria Bortot

Christian Peacemaker Teams è un’associazione che lavora in territori di conflitto o post-conflitto e nelle zone dove vi sono violazioni dei diritti umani. Attraverso i suoi team il CPT si pone come un corpo nonviolento di pace che ha l’obiettivo di portare un cambiamento concreto nella società in cui è presente un conflitto. L’organizzazione abbraccia la visione di un intervento disarmato condotto da operatori di pace pronti a rischiare la propria incolumità, e a volte la loro stessa vita, per aiutare le popolazioni in difficoltà. Impegnati in giro per il mondo, dalla Palestina all’Iraq, dalla Colombia al Canada, ora hanno deciso di aprirsi all’Europa. Punto di partenza? La Grecia.

Ne parliamo con Marius van Hoogstraten, responsabile della delegazione che si recherà in terra ellenica.

Che cos’è CPT e perché hai deciso di cooperare con loro?

CPT forma dei gruppi di “peacemakers” che poi manda a lavorare attivamente nelle aree di conflitto. Insieme agli attivisti locali questi membri del CPT lavorano per la pace e la giustizia. In Palestina, ad esempio, affiancano la comunità rurale di Tuwani. Qui, una parte del lavoro consiste proprio nella presenza costante dei volontari all’interno della comunità in quanto accompagnano i pastori ai campi e i bambini a scuola, in modo da affrontare insieme a loro, in caso di necessità, la violenza dei coloni o dei soldati israeliani. Ma non si fa solo questo. Il CPT si occupa anche di “politica” di affiancamento, che molto spesso significa sensibilizzare la questione all’interno dei nostri paesi di origine. Spesso, infatti, le ingiustizie e i conflitti hanno radici in Europa e in Nord America. Noi ora lavoriamo in Colombia, in Palestina, nel Kurdistan iracheno e in Canada, dove sosteniamo le comunità di indigeni. Quello che mi ha convinto a lavorare per il CPT è stata la volontà di essere attivo nella solidarietà e andare nei posti dove succedono le cose stando accanto fisicamente alle persone che resistono all’oppressione e alla violenza. Dall’altro l’umiltà con cui si cerca di fare qualcosa, soprattutto dal punto di vista del sostegno delle comunità locali e degli attivisti. Noi siamo presenti solo dove siamo stati chiamati, dove è stata davvero richiesta la nostra presenza. E il nostro lavoro consiste proprio nel creare il giusto spazio per permettere loro di fare quello in cui credono. Ci sono davvero delle persone speciali tra i nostri volontari. Mi ricordo il mio primo giorno con CPT in Palestina: sono andato ad una manifestazione con due suore molto anziane e mi sono detto “Wow, questo è fighissimo”. E non ho più smesso…

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Qual è il significato di nonviolenza nell’idea di CPT?

Molto spesso la gente che sente parlare di nonviolenza pensa che significhi “tirarsi indietro”, essere neutrale e associa questo concetto ad una sorta di limitazione. Invece è tutt’altro. Per noi è qualcosa che ha a che fare con la creatività e con la resistenza. Riguarda l’essere attivamente coinvolti nella lotta trovando modi creativi per trasformare la violenza e l’oppressione. La nostra prospettiva di nonviolenza ha molto a che fare con la forza: noi crediamo che la nonviolenza significhi essere solidali con gli oppressi. Essere neutrali in una situazione di conflitto significa, invece, rinforzare l’oppressione. Allo stesso modo usare la violenza per “salvare” gli oppressi non migliora la situazione, semplicemente cambia chi sta al potere. Ci tengo anche a chiarire il concetto di “cristiano”. L’organizzazione è nata da alcuni pacifisti cristiani che insieme iniziarono a pensare che cosa poter fare attivamente attraverso il concetto della nonviolenza. L’organizzazione, ad oggi, ha ancora al suo interno parecchi fedeli cristiani ma è aperta anche alle altre fedi.

Come si può diventare volontari?

Le delegazioni sono consultabili online su www.cpt.org. Per lo stage, invece, bisogna contattare direttamente uno dei team. Un altro modo per venire coinvolti è partecipare al nostro meeting europeo che si terrà dal 24 al 27 luglio in Olanda, vicino ad Amsterdam scrivendo una mail a outreach-europe@cpt.org.

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Cosa chiedete ai vostri volontari?

Ci sono diversi modi per essere coinvolti. La maggior parte delle persone inizia attraverso l’esperienza di fare parte di una “delegazione”, ovvero una breve visita – circa due settimane – in uno dei nostri progetti. I partecipanti iniziano a conoscere la situazione, partecipano ai lavori di gruppo sul territorio e, una volta a casa, si confrontano sulla loro esperienza. Un altro modo è fare uno stage, ovvero aiutare direttamente sul campo un team. Una volta passato il primo step, se uno è interessato a diventare un “membro”, allora deve partecipare ad un training sulla nonviolenza. Fatto ciò entri a far parte del CPT per tre anni e puoi essere impiegato in diversi modi: come riservista (che comporta un impegno di due settimane l’anno), part-time (almeno tre mesi) o full-time (nove mesi l’anno). I volontari part-time e full-time ricevono uno stipendio. Oltre al lavoro sul campo è indispensabile che i volontari si adoperino per la raccolta fondi nelle loro comunità.

La prossima “delegazione” andrà in Grecia. Qual è il vostro progetto perché avete scelto proprio quel paese?

La maggior parte dei nostri volontari sono del Nord o del Sud America ma c’è anche qualche europeo. Molti di loro sono personalmente coinvolti in attivismo nei confronti dei diritti dei migranti nella loro zona. Circa un anno fa siamo andati insieme in Svezia per il nostro meeting europeo e abbiamo protestato per i diritti dei rifugiati iniziando a chiederci se si potesse fare attivamente qualcosa in Europa, così da coinvolgere anche l’organizzazione di CPT. Dal 1988 circa 16.000 rifugiati sono morti ai confini dell’Unione Europea. La nostra organizzazione lavora per la giustizia e la pace in tanti Paesi… Perché non fare qualcosa anche in Europa? Il primo passo è stato incontrare e conoscere gli attivisti che già si muovevano in questa direzione. Poi abbiamo scelto di andare in Grecia con una delegazione di sei membri, tra cui una ragazza italiana. Perché la Grecia? Semplice, è uno dei punti di transizione più importanti, il luogo dove puoi incontrare gente diversa e renderti conto della situazione, dai centri di detenzione alle prigioni e così via… In Grecia il problema diventa reale, visibile molto più che in altre zone di confine, come ad esempio Lampedusa dove molto accade nel mare, invisibile agli occhi dell’uomo.

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Qual è il vostro scopo?

Il nostro lavoro lì è appena iniziato quindi questo sarà un viaggio per conoscere meglio la situazione, gli attivisti e i rifugiati del posto. Inoltre dobbiamo capire se c’è davvero un posto per il nostro tipo di lavoro. Se ci sarà e uno dei nostri contatti ci inviterà a metterlo in pratica, inizieremo molto velocemente un progetto di lavoro a lungo termine. Appena saprò qualcosa di più vi faremo sapere come sono andate le cose…

Come è possibile supportare questo progetto?

Stiamo cercando di raccogliere più fondi possibili. Per ora abbiamo raccolto 2000€ per il nostro viaggio. Potete seguirci su Facebook alla nostra pagine europea Christian Peacemaker Teams – Europe (fb.com/CPTEurope) o tramite il blog http://cptgreece.wordpress.com. Su http://cptgreece.wordpress.com/support-us/potete trovare l’IBAN dell’Associazione Mennonita tedesca che ci sta aiutando nella raccolta.



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