Morire abbracciati in fondo al mare, la tragica fine di due migranti

In questi giorni Repubblica.it ha pubblicato un video girato dai sommozzatori delle forze dell’ordine durante le operazioni per il recupero delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, durante il quale 366 migranti, di cui 41 minori, persero la vita. Tra i terribili fotogrammi che scorrono ce n’è uno in particolare in cui si vedono i cadaveri di un uomo e una donna abbracciati. Erano fratello e sorella? Amanti? Marito e moglie? O semplicemente due sconosciuti che di fronte alla morte incombente hanno trovato conforto l’una nelle braccia dell’altro?

Non lo sapremo mai come non conosceremo mai la storia delle 20 mila persone morte nel Mediterraneo negli ultimi 25 anni cercando di arrivare in Europa. Corpi incastrati in relitti sottomarini, gonfi di acqua come lo erano di speranza quando sono partiti dalle coste africane. 3 mila dollari per fuggire dall’inferno con un biglietto di sola andata verso una nuova vita. Spesso, però, la realtà che li attende è peggiore di quella da cui fuggono. E’ questa la responsabilità che dovremmo tutti sentire sulle nostre coscienze: possibile che quello che noi possiamo offrire a chi fugge dall’inferno sia peggio dell’inferno?

Possibile che per risvegliare le nostre coscienze ci sia bisogno che una telecamera violi gli abissi squarciando il velo che nasconde la cruda realtà? Mi hanno insegnato che un articolo in cui ci sono troppe domande (a meno che non sia un’intervista) è un articolo fatto male. Forse è vero ma di fronte a queste immagini, che semplicemente ci sbattono in faccia quello che tutti noi già sappiamo, l’unica reazione è quella di farsi delle domande, di chiedersi come abbiamo potuto permettere tutto questo

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Forse è la stessa domanda che ha spinto il nostro governo a lanciare l’operazione Mare Nostrum, certamente meritoria ma allo stesso tempo non risolutiva. Oggi si parla delle responsabilità dell’Europa, magari dimenticandosi delle inadempienze dell’Italia nell’applicazione degli standard previsti dalle direttive europee nelle misure di accoglienza e tutela rivolte ai richiedenti protezione internazionale. O magari dimenticandosi, come fa il Ministro dell’Interno Alfano, di aver fatto parte del governo che in collaborazione con Gheddafi ha messo in pratica la criminale politica dei respingimenti. Dello stesso governo che ha approvato il reato di clandestinità e la legge Bossi-Fini.

Sono più di 20 anni che i migranti muoiono nel Mediterraneo: questa non è  e non è mai stata un’emergenza, è la realtà dei fatti. E l’Europa, insieme ai singoli paesi membri, deve cominciare a fare i conti con la realtà di un mondo ingiusto in cui chi nasce in un paese che non garantisce una vita dignitosa o il rispetto dei diritti umani ha tutto il diritto di andarsene. Ed è assolutamente ingiusto che l’Europa scarichi il peso ed i costi della gestione dei flussi migratori solamente sui paesi di confine come Italia, Spagna e Grecia. Paesi che comunque hanno le loro colpe avendo negli anni considerato i fenomeni migratori solamente dal punto di vista della sicurezza senza mai investire sull’integrazione e la valorizzazione delle comunità migranti.

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La gran parte delle responsabilità sono da attribuire al Regolamento di Dublino III che conferisce la responsabilità dell’accoglienza dei titolari di protezione internazionale al primo paese in cui vengono identificati. Un regolamento assurdo che oltre a lasciare da soli questi paesi, costringe i titolari di protezione internazionale, molti dei quali minorenni, ad attraversare mezza Europa da clandestini nella speranza di non essere identificati prima di arrivare nel paese desiderato. Questo dopo aver rischiato la vita per arrivare alle porte dell’Europa, pagando migliaia di euro ai trafficanti di esseri umani.

Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità modificando il regolamento di Dublino III e avviando una politica di accoglienza globale che garantisca ai titolari di protezione internazionale i diritti loro garantiti dalle convenzioni internazionali. Dobbiamo creare dei corridoi umanitari che permettano ai titolari di protezione di arrivare in Europa senza rischiare la vita su un barcone stracarico. Dobbiamo riformare Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea) trasformandola da agenzia che controlla le frontiere ad Agenzia che gestisca, con un budget adeguato, i flussi migratori garantendo ai titolari di protezione il rispetto dei loro diritti.

E lo dobbiamo fare per noi stessi, per non doverci più chiedere: come abbiamo potuto permettere tutto questo?

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di Manuele Petri


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