Una riforma “laica” dell’8X1000 porterebbe alle casse statali 700 milioni l’anno

La Corte dei Conti ha recentemente puntato il dito sull’istituto del 8X1000, il cui bilancio negli ultimi 20 anni è cresciuto fino a lambire quota 1,3 miliardi. Troppi, secondo la Corte, nell’annoso dibattito su come lo Stato debba compiere risparmi cercando di agire equamente tra i vari impegni di spesa. Sull’argomento è intervenuto Giacomo Ciccone, presidente dell’Alleanza Evangelica Italiana, da sempre impegnata sui temi della libertà religiosa e della laicità. Ciccone polemizza con il meccanismo della redistribuzione delle preferenze non espresse.

“Nell’attuazione il legislatore – spiega Ciccone – ha stranamente permesso che il contribuente possa non compiere alcuna scelta tra le opzioni previste. Questa eventualità anziché esprimere, come risulterebbe naturale, il far rimanere la quota in capo allo Stato, la ridistribuisce secondo le proporzioni ottenute dalle scelte espresse. Tale spinta è potuta nascere probabilmente dalla consapevolezza che non così tanti contribuenti avrebbero scelto deliberatamente i soggetti in campo. Ad esempio la Conferenza Episcopale Italiana a fronte di meno del 38 % di scelte espresse, ottiene oltre l’82% del gettito, ossia circa 1,1 Miliardi. Ma anche altre confessioni ottengono un moltiplicatore di circa 2,4 rispetto alle scelte espresse”. Solo due confessioni, le Assemblee di Dio e la Chiesa Apostolica in Italia, non hanno aderito a questo marchingegno rinunciando a farsi attribuire tali quote lasciandole allo Stato.

La Corte dei Conti critica l’aumento delle quote non espresse che vanno alle confessioni (ora circa 1,3 Miliardi annui in totale) e stigmatizza senza mezzi termini la latitanza dello Stato che colpevolmente rinuncia a promuovere la propria opzione. “Questa latitanza lascia mano libera in particolare alla Chiesa Cattolica che attua una campagna pubblicitaria sempre più mastodontica. Infine auspica un miglioramento del controllo sull’utilizzo dei fondi”.

Sull’argomento è intervenuto l’on democristiana Fumagalli Carulli, che ha proposto di ridurre temporaneamente per un anno l’8X1000 ad un 6X1000. Una soluzione che non convince Ciccone: “A mio avviso, così come formulata, tale scelta non avrebbe un carattere strutturale, si configurerebbe come un taglio alle libere scelte di sostegno che i cittadini devolvono deliberatamente alle chiese, e renderebbe disponibile solo un’esigua fetta di risorse finanziarie (200-250 milioni una tantum)”.

L’unica strada sembra a questo punto “eliminare il distorto meccanismo che redistribuisce le quote relative alle preferenze non espresse. Le quote relative a preferenze non espresse devono infatti competere allo Stato. Attraverso una tale riforma dell’istituto dell’8X1000 Lo Stato libererebbe ogni anno risorse per almeno 700 Milioni di Euro affermando al contempo un principio di laicità in quanto non v’è ragione per cui i fondi dei contribuenti che non esprimono alcuna preferenza debbano invece essere dirottati nelle casse delle confessioni religiose. Del resto già una proposta referendaria dell’anno scorso da noi sostenuta andava in questo senso. Senza tagliare l’aliquota, il fondo può pesare meno della metà ed essere più giusto e rispettoso”.

Sul piano quantitativo, “ci sarebbe agevolmente una mini finanziaria”, le risorse liberate “potrebbero essere impiegate a sostegno di assunzioni o negli ammortizzatori sociali, che fino ad oggi il Governo non ha potuto finanziare adeguatamente”. Ma una riforma dell’8X1000 non è solo una questione di soldi: “l’iter delle confessioni per poter accedere all’intesa ai sensi dell’Art. 8 della Costituzione, è sempre molto lento. Oltretutto questo argomento è connesso anche alla mancanza di una legge sulla Libertà Religiosa in Italia”.


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