Noi rom e sinti siamo la più grande minoranza europea – oltre 12 milioni distribuiti in tutti i Paesi -; non abbiamo una terra di riferimento, neppure l’India delle lontane origini, non abbiamo, come altre minoranze disperse, rivendicazioni territoriali, quindi non abbiamo mai fatto guerre per rivendicare una patria, non abbiamo sedi di rappresentanza, siamo cittadini del luogo nel quale viviamo. Siamo quindi il perfetto popolo europeo, ma ciononostante siamo il popolo più discriminato d’Europa, tanto che nel Consiglio d’Europa vi è un commissario ad hoc con il compito di favorire specifiche politiche di contrasto alla discriminazione e di inclusione sociale e civile.
In Italia il numero di rom e sinti si aggira intorno alle 150.000 persone, oltre metà delle quali cittadini italiani, ma ciononostante continuiamo ad essere considerati fondamentalmente come “estranei” e “nomadi”. Il “nomadismo” moderno è piuttosto rappresentato dall’essere ancora un popolo che vive ai “confini”, non solo fisici, nel tentativo di costruire dei rapporti di pacifica convivenza e di mantenimento della propria identità, che consiste anche in una concezione di vita, che si può anche definire uno stato dell’anima, un modo di vedere il mondo, lo spazio e il tempo che non si possono omologare.
Anche per questa nostra “irriducibilità” all’omologazione, le amministrazioni pubbliche non hanno mai fatto una politica che non fosse quella del contenimento e della marginalizzazione delegandone la gestione alle associazioni del privato sociale. Questa scelta ha escluso la nostra partecipazione e il nostro contributo privilegiando la cultura dell’assistenza anziché quella della responsabilità. Alla logica di contenimento e di marginalizzazione si sono aggiunte discriminazione e ostilità, sfruttamento politico della fragilità sociale, senza politiche che favorissero la convivenza.
Noi non parliamo di integrazione o di inclusione, termini che non corrispondono al nostro sentire, perché non ci sentiamo né diversi da integrare, né esclusi da includere. Noi siamo parte della comunità nella quale e con la quale vogliamo convivere con la nostra identità. Inclusione o integrazione significa prima di tutto contrastare il pregiudizio e la discriminazione che hanno fatto delle nostre comunità il capro espiatorio del disagio sociale e lo strumento prediletto di campagne razziste e fomentatrici di un odio che ha lasciato un segno profondo nella coscienza collettiva.
Per un progetto realistico di convivenza occorre riconoscere, anche giuridicamente, l’identità di un popolo che ha attraversato secoli di discriminazione e di persecuzione mantenendo intatta la consapevolezza di sé. Per questo occorre partire da un punto che per noi è fondamentale: essere riconosciuti per quello che siamo, una minoranza con una propria identità storico-linguistica e quindi interlocutori della società e delle sue istituzioni. Non vogliamo essere considerati bambini da prendere per mano da chi crede di poter pensare e agire per noi. Vogliamo che all’assistenza si sostituisca la responsabilità, cioè la nostra dignità di uomini e donne uguali agli altri in grado di pensare e fare proposte in un nuovo rapporto con la società, rendendoci interlocutori effettivi delle politiche che ci riguardano, in grado di esprimersi, di chiedere rispetto dei diritti come dei doveri.
Per dare corpo a questo obiettivo teniamo conto di alcune novità che si sono riscontrate in questi ultimi anni delle quali importante è stata, dopo quella da parte del governo italiano, l’approvazione da parte della Commissione europea della “Strategia nazionale per l’inclusione delle comunità rom, sinte e caminanti”, elaborata dall’UNAR con la partecipazione delle associazioni rom e sinte, che introduce novità la più importante delle quali è il coinvolgimento delle comunità rom e sinte nelle politiche che le riguardano. Altro fatto di grande importanza è stata la ratifica della Carta europea delle lingue regionali e l’approvazione del riconoscimento delle lingue rom e sinti tra le minoranze linguistiche in Commissione Esteri della Camera.
Ma entrambi questo due fatti non hanno ancora prodotto i risultati sperati: la Strategia non ha superato lo scoglio delle regioni, e soprattutto la ratifica della Carta europea non ha ancora avuto una conseguenza legislativa, cioè il riconoscimento giuridico dello status di minoranza linguistica, elemento determinante per il superamento dell’emarginazione e della discriminazione che viviamo ogni giorno.
Per l’insieme di queste ragioni le comunità, rappresentate dalla Federazione Rom e Sinti insieme e dalla Federazione Romanì propongono ai cittadini italiani di compiere quel passo rimasto sospeso sottoscrivendo la proposta di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento giuridico della minoranza linguistico-culturale rom e sinta italiana.
Con questo si vuole:
a. realizzare gli articoli 3 e 6 della Costituzione che prevedono: la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; la tutela di tutte le minoranze linguistiche con apposite norme;
b. contrastare discriminazione e pregiudizio nei confronti delle comunità rom e sinte che sono causa della scarsa integrazione nella società e soprattutto della marginalizzazione sociale ed economica anche per il loro mancato riconoscimento istituzionale come minoranza;
c. dare consapevolezza al popolo rom e sinto dei suoi diritti, del suo ruolo nella società con un confronto e un incontro con essa.
Per questo il disegno di legge di iniziativa popolare si articola in diversi punti:
1. la specifica tutela del patrimonio linguistico-culturale della minoranze rom e sinta, con istituti analoghi a quelli previsti dalla legge n. 482/1999 per tutte le altre minoranze (diritto allo studio e all’insegnamento della lingua, diffusione della cultura e delle tradizioni storico-letterarie e musicali);
2. l’incentivo e la tutela delle associazioni composte da Rom e Sinti, conforme alla libertà di associazione prevista dall’articolo 18 della Costituzione per favorire la partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale, culturale e politica del Paese;
3. il diritto di vivere nella condizione liberamente scelta di sedentarietà o di itineranza, il diritto di abitare in alloggi secondo una pluralità di scelte secondo, le norme della Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze nazionali di Strasburgo dell’1 febbraio 1995, le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, dell’OCSE e della Commissione europea e la Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti;
4. norme che sanzionino le discriminazioni fondate anche sull’appartenenza ad una minoranza linguistica completando così sia l’attuazione del principio costituzionale di eguaglianza senza distinzione di lingua e di razza;
5. infine, l’attuazione della presente legge non comporta oneri aggiuntivi per i bilanci di Stato e enti territoriali.
La partecipazione di rom e sinti alla vita collettiva con il proprio contributo umano e culturale è fondamentale per superare l’esclusione, la marginalizzazione di un popolo che ha attraversato secoli di discriminazione fino allo sterminio razziale e che non deve rimanere confinato nei ghetti fisici e spirituali, nei quali troppo spesso viene relegato destinandolo all’assistenza e non alla propria responsabilità. Il riconoscimento della minoranza, della sua storia, della sua cultura, è una risorsa per la storia e la cultura di tutti e significa accogliere rom e sinti nella comunità più generale insieme con tutte le altre identità che costituiscono il nostro comune patrimonio nazionale.
La Federazione Rom e Sinti insieme, la Federazione Romanì
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