La Risoluzione approvata nel 2011 dall’Ue sulla “strategia per l’integrazione rom” mostrava una situazione allarmante: nel continente migliaia di persone appartenenti a questi gruppi vivono in condizioni di estrema emarginazione e povertà, aggravate dalle politiche di esclusione sociale di alcuni governi.
Rom, Sinti, Kalé, Manouches e Romanichels sono circa 16 milioni nel mondo, di cui 12 milioni in Europa, e subiscono gravi discriminazioni, continue violazioni dei loro diritti fondamentali e numerose aggressioni di natura razzista in tutti i paesi di insediamento.
Ma qual è la realtà in cui vivono? Partendo da questa semplice domanda, Babelnet ha pubblicato una serie di interessanti articoli che mettono a confronto la condizione dei rom in Italia, Spagna e Turchia. Il rapporto verrà approfondito con tre cicli di inchieste giornalistiche, sostenute da Open Foundation Society.
Il primo ciclo è dedicato alle origini storiche, sociali, culturali, economiche delle mitologie e degli stereotipi che riguardano questi gruppi nei quattro Paesi coinvolti. Il secondo ciclo approfondirà le conseguenze concrete che queste visioni distorte e strumentali hanno sulla vita delle diverse comunità: dal problema dell’alloggio al mancato accesso all’istruzione e alla sanità, dall’emarginazione sociale all’esclusione dal mondo del lavoro. Il terzo darà visibilità all’importante contributo culturale e artistico di queste popolazioni in Europa e nel Mediterraneo, con particolare attenzione alle realtà francese, italiana, spagnola e turca.
LA PRESENTAZIONE – Il primo ciclo verrà presentato mercoledì 15 aprile dalle 17.30 alle 20,00 presso la biblioteca Nelson Mandela di Roma (via la Spezia 21). Si analizzeranno alcuni tra i più diffusi stereotipi e pregiudizi contro i rom con giornalisti, attivisti ed esperti e seguirà la proiezione del documentario Io, la mia famiglia rom e Woody Allen, di Laura Halilovic, in presenza della regista. I Rom, i Sinti, i Kalé, i Manouches e i Romanichels sono circa 16 milioni nel mondo, di cui 12 milioni in Europa, caratterizzati da una diversità storica, sociale e culturale assai complessa.
Se ne parlerà con Federica Araco, giornalista (coordinatrice del progetto R.O.M., babelmed, Italia); Nathalie Galesne, giornalista (caporedattrice babelmed, Francia); Övgü Pınar, giornalista (babelmed, Turchia); Martina Chichi, giornalista (Associazione Carta di Roma); Simone Zamatei, coordinatore locale del progetto “Sar San 2.0”, “come stai?”, in lingua romanì, (Cooperativa ABCittà); Laura Halilovic, regista, autrice di “Io, la mia famiglia rom e Woody Allen” (2009) e “Io, rom romantica” (Italia, 80’, 2014). Seguirà, alle 19,00, la proiezione del documentario Io, la mia famiglia rom e Woody Allen di Laura Halilovic (Italia, 50’, 2009), selezionato dal PriMed e gentilmente concesso dal Centre Méditerranéen de la Communication Audiovisuelle (CMCA) di Marsiglia.
Pubblichiamo in seguito un estratto dei tre approfondimenti, a cura di Federica Araco, Federica Antoni e Övgü Pınar.
TURCHIA – Il numero delle popolazioni romanès in Turchia non si conosce esattamente. Le stime oscillano tra i 500mila e i 5 milioni. I diritti delle minoranze nel Paese sono ampiamente regolati dal Trattato di Losanna, del 1923, che però non prevedeil riconoscimento dei Rom tra queste. Gli attivisti dei diritti umani sottolineano che questa assenza di riconoscimento legale impedisce loro di esser difesi contro le discriminazioni. Benché negli ultimi anni le ONG siano state molto attive nel sostenere i diritti delle minoranze in Turchia, secondo lo European Roma Rights Center (ERRC) “i Rom non rientrano nel target o tra le priorità di queste associazioni, o forse le ONG internazionali che si occupano di diritti umani sono più focalizzate sulla questione curda, sulla spaccatura esistente tra gli islamisti e la società secolarizzata o sul ruolo dell’esercito nella vita dei civili”.
Secondo l’analisi tracciata dalla ERRC (2011-2012), “la maggior parte dei Rom vive nell’Anatolia occidentale, in Tracia e nelle regioni della Marmara e del mar Egeo, mentre i gruppi Dom e Lom vivono principalmente nel sud est e nell’est del Paese”. Quasi tutti sono musulmani. L’ERRC afferma che i Rom in Turchia affrontano le stesse sfide socio-economiche presenti negli altri Paesi europei. Hacer Foggo, dell’Osservatorio per i diritti umani della ERRC, ha detto a Babelmed che i problemi più grandi che i Rom incontrano qui sono la discriminazione e l’odio razziale. E ha così descritto le loro condizioni:
“[questa minoranza] soffre a causa di emarginazione ed esclusione in tutti gli aspetti della vita. Le principali difficoltà, sia in Turchia che in Europa, riguardano quattro ambiti: impiego, alloggio, educazione e salute, con varie forme di pregiudizio in ciascuno di essi. Quando qualcuno chiede un lavoro, per esempio, il solo fatto di vivere in quartieri come Sulukule o Sarıgöl (le zone di Istanbul a maggioranza Rom) potrebbe esser visto come un segno della sua appartenenza a questo gruppo etnico e per questa ragione potrebbe non venire assunto”. Continua a leggere il rapporto.
SPAGNA – Alla fine del franchismo, grazie all’introduzione nella Costituzione dell’articolo sulla libertà di associazione, nascono nuove organizzazioni come l’Associazione Gitana di Valencìa e l’Unione romanì. Il governo nel 1985 pianifica un programma di sviluppo gitano, che prevede delle sovvenzioni. A livello politico i Parlamenti autonomi, come per esempio quello catalano, approvano una risoluzione in cui si riconosce “l’identità del popolo gitano e il valore della sua cultura”. “Ora partecipano direttamente alla vita politica – precisa Sergio Rodriguez – inoltre tutti i partiti includono nel loro programma elettorale la questione gitana. Trasversalmente nelle istituzioni ci sono strutture per ascoltare le loro voci, come per esempio al ministero della cultura”. Tra i primi a dedicarsi alla lotta politica per il miglioramento della condizione del popolo gitano c’è sicuramente Juan de Dios Ramirez-Heredia, deputato al Parlamento spagnolo dal 1977 al 1985 e in seguito a quello Europeo fino a ricoprire l’incarico di presidente dell’Unione Romanì
Ma secoli di pregiudizi non si superano in pochi decenni e molti stereotipi influenzano ancora oggi la vita di queste comunità che difficilmente vedono rispettati i loro diritti fondamentali e le loro differenze e specificità culturali. In Spagna, i gitani sono circa 750.000 e tuttora sono socialmente esclusi ed emarginati
Secondo le denunce delle organizzazioni romanès, il 60 percento dei giovani con più di 16 anni è analfabeta. Gravissima è anche la condizione lavorativa, con il 36 percento dei disoccupati. Un problema che sta diventando cronico, considerato che negli ultimi dieci anni il tasso dei senza lavoro è triplicato e gli impieghi stagionali sono praticamente scomparsi. “Negli ultimi 10 anni sono migliorati gli strumenti per combattere la discriminazione che però non è diminuita – spiega Sara Giménez, della Fondazione del Segretariato Gitano – si continua a negare ai gitani i servizi, l’accesso al lavoro, alla casa e all’educazione”. Nell’ultimo anno sono stati registrati 151 casi di discriminazione. “Sono circostanze in cui emerge il rifiuto quotidiano che spesso sconfina in aggressioni, violenza, manifestazioni razziste o attacchi contro le abitazioni”[8]. Gran parte della responsabilità risiede nei mezzi di comunicazione (32%), che diffondono e alimentano gli stereotipi contro di loro. Sulle reti sociali e internet (19%) “si supera la discriminazione arrivando all’incitazione all’odio”. Nel mondo del lavoro sono 22 i casi segnalati dalla Fundazione Secretariato Gitano (FSG) di persone che si sono viste negare il lavoro per il fatto di far parte di questa minoranza. Molti, secondo alcune associazioni, evitano di denunciare i casi.
Ancora difficile è anche la situazione economica di molte comunità colpite ulteriormente con la crisi. Al giorno d’oggi tre su quattro cittadini di etnia romanì in Spagna vivono sotto la soglia di povertà e il 54 percento della popolazione gitana si trova in condizioni di estrema povertà. Tra questi vi sono molte comunità giunte negli ultimi anni dall’est Europa, in particolare da Romania e Bulgaria (circa 40mila persone). In fuga da un razzismo sempre crescente, hanno cercato rifugio nel “modello spagnolo”. Continua a leggere il rapporto.
ITALIA – Il PeW Research Center nel maggio 2014 rilevava che l’85 percento degli italiani condivide opinioni negative contro Rom e Sinti, malgrado la loro presenza sia molto esigua rispetto ad altri Paesi dell’Unione. Le stime riportate dal documento “Strategia nazionale di inclusione di rom, sinti e caminanti” (2012) riferiscono di 160mila persone, di cui 70mila di cittadinanza italiana. Si tratterebbe, dunque, di una percentuale molto contenuta (0,23-0,25 percento) rispetto alla popolazione complessiva. È tuttavia molto difficile ottenere cifre esatte perché i censimenti non hanno base etnica. Ma una cosa è certa: i tentativi di inclusione sollecitati dalle direttive europee hanno avuto finora esiti piuttosto deludenti.
A confermarlo, l’ennesimo richiamo di Strasburgo che, il 24 febbraio scorso, ha pubblicato il report “Conclusions on the Implementation of the Reccomendations in Respect of Italy. Subjet to interim follow-up”[3]. Dal monitoraggio effettuato dalla European Commission against Racism and Intolerance (ECRI) è emerso che le politiche attuate dal nostro Paese sono ancora molto lontane dalla reale integrazione dei Rom.
In gran parte questi fallimenti sono causati dall’assenza di un’efficace e concreta lotta alla retorica razzista riservata a queste comunità, costantemente alimentata da ataviche paure e credenze ancora molto presenti nell’immaginario collettivo. “Nella sostanza [il razzismo contro i Rom, n.d.R.] non è diverso né più grave di qualsiasi altra forma di razzismo, ma è […] quello più ampiamente legittimato socialmente”, continua Mazzoli. “È riscontrabile in moltissimi ambienti culturali, a volte anche in quelli che ne dovrebbero essere immuni […]perché è molto antico e quindi radicato: gli zingari sono i discendenti di Caino il fratricida, sono i fabbri che forgiarono i chiodi con i quali Gesù fu crocifisso, sono i nomadi misteriosi, impostori e furbi, dediti alla magia e al raggiro”. Il PeW Research Center ha confermato la relazione tra ideologia politica e attitudine discriminatoria: gli italiani che si considerano “di destra” hanno opinioni più negative a riguardo, ma anche i più democratici non sono immuni da tale tendenza. Continua a leggere il rapporto.
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