Deve intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale
Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio – e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.
«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».
Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.
Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.
Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».
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